Cultura

Meister Eckhart e la divinità senza nome

Meister Eckhart e la divinità senza nomeMeister Eckhart

SCAFFALE Due testi del mistico tedesco, a cura di Marco Vannini per Lorenzo de’ Medici Press

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 6 settembre 2024

C’è una luce nel fondo dell’essere umano sempre accesa anche se ricoperta e oscurata da volizioni di ogni tipo – desideri, paure, speranze –, per cui solo un completo distacco la fa emergere e risplendere. Per entrarvi in contatto non servono mediatori, non serve alcuna religione, giacché esiste prima e al di là di qualsiasi opera intermediaria. È l’estrema sintesi dell’esplosivo pensiero del filosofo e mistico tedesco Meister Eckhart di cui due testi inediti in italiano sono stati da poco pubblicati da Lorenzo de’ Medici Press con la cura di Marco Vannini: Meister Eckhart. Luce dell’anima, è il titolo del volume (pp. 186, euro 18). Si tratta di due testi preziosi perché confermano la potenza di un pensiero che spaventò nel Medioevo l’istituzione cattolica tanto che lo giudicò eretico. Dopo Eckhart, tuttavia, fu la mistica renana a non arrendersi e, in scia al maestro domenicano, a spingere per l’affermarsi di una nuova religiosità fondata sulla «vera» essenza dell’essere umano, e cioè sul suo rapporto di identità e non di differenza rispetto a Dio.

PER QUESTO, nonostante i ripetuti sospetti vaticani di eresia (è in quegli anni che Margherita Porete viene bruciata come eretica per il suo Specchio delle anime semplici), i discepoli di Eckhart, da Giovanni Tauler ad Enrico Suso, insistono sull’inutilità di una mediazione da parte della Chiesa. C’è «una luce nell’anima dove non è mai penetrato il tempo e lo spazio», scrive Eckhart. Ed è in questa luce che «l’uomo deve permanere». È paradossale ma è su questa dicotomia che ancora oggi il cristianesimo gioca gran parte del suo futuro. I luoghi di culto cristiani sono sempre meno frequentati perché propositori di una visione di Dio nella quale in molti non si ritrovano. Dio, per il cristianesimo tradizionale, è un’entità esterna all’essere umano e che, a suo piacimento, interviene nella storia. Dio, per i seguaci di Eckhart e per tutti i cosiddetti post-teisti che ritengono che secoli di cristianesimo tradizionale vadano superati, è tutt’uno con l’essere umano. Quest’ultimo è per sua natura da sempre in comunione con il divino, seppure di Dio nessuno possa affermare alcunché di certo. E, infatti, ciò che l’essere umano «veramente» può dire di sapere, secondo Eckart, è «la non conoscenza» di Dio, la sua assoluta trascendenza.

Oggi il pensiero post-teista è guardato con sospetto dalla teologia più allineata all’istituzione ecclesiastica. Così, fra il 1200 e il 1300 fu per Eckhart che sostenne per primo che quello che in vario modo i teologi chiamano Dio non è altro che un frutto della immaginazione umana, un prodotto a servizio dei propri bisogni, legami e dunque, spiega Vannini, «del nostro ego». «Prego Dio che mi liberi da Dio», afferma Eckhart nel sermone «Beati pauperes spiritu», rivolgendosi così al vero Dio, alla «Gottheit», la divinità senza nome che vive nel fondo di ogni anima e che sola può aiutare l’essere umano a liberarsi dalle false rappresentazioni che si è fatta di lei.

CI VUOLE CORAGGIO per rifare daccapo un cristianesimo ritenuto figlio di secoli di menzogna. Eppure, questo, di fatto, chiede Eckhart a coloro che come Plotino intendono «scolpire» nella verità «la propria statua». Per conoscere sé stessi, e insieme Dio, è necessario quell’«Áfele pánta», quel «togli via tutto» con cui lo stesso Plotino postulò il necessario distacco da sé e da ogni cosa che solo permette di fondarsi sulla verità. «La luce di Dio brilla nelle tenebre», aveva del resto già compreso l’evangelista Giovanni.

Sono in molti oggi a definire Eckhart «il massimo mistico cristiano», nonostante per l’ardire della sua speculazione fu messo sotto processo dalla Chiesa e condannato per eresia. Eckhart rimase sempre fedele al suo pensiero: le mitologie religiose, le teologie, sostiene non discostandosi da Hegel e dal suo giudizio negativo sullo «spirito», sono «fuorvianti» in quanto propongono immagini di Dio come altro, diverso se non opposto al nostro essere. Per cui occorre tutta la forza dell’intelligenza, che distacca, per liberarsi da tali immagini e poter così conoscere noi stessi, il nostro proprio fondo. «Qui – scrive Eckhart – il fondo di Dio è il mio fondo». Dio, qui, è nell’«eterno presente», qui «arde e splende incessantemente con tutta la sua ricchezza», nella «quiete», seppure «inesprimibile» e «innominabile».

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