Meglio se è l’élite a governare, non solo nelle fiction
Il fascino di re e regine Il bisogno del passato, questo tornare indietro ha una sua plausibile spiegazione nel nostro tempo in cui il futuro ci fa paura. Questo inaspettato ritorno dell’immaginario seriale al fascino delle élite, ed in particolare al mondo di re e regine, risuona come un preciso campanello d’allarme della crisi della democrazia come governo del popolo
Il fascino di re e regine Il bisogno del passato, questo tornare indietro ha una sua plausibile spiegazione nel nostro tempo in cui il futuro ci fa paura. Questo inaspettato ritorno dell’immaginario seriale al fascino delle élite, ed in particolare al mondo di re e regine, risuona come un preciso campanello d’allarme della crisi della democrazia come governo del popolo
C’è un fenomeno curioso, intrigante, di non facile interpretazione. Mi riferisco al successo delle serie televisive distribuite da Netflix , Premium, Sky, ecc., che dopo un lungo periodo dedicato alla vita negli ospedali adesso si dedicano ad un filone di ricostruzioni storiche che hanno come protagonisti i personaggi e il mondo dell’aristocrazia, le travagliate vicende delle monarchie europee, con particolare riferimento a quella inglese, con la serie dedicata ai Tudors, alla regina Victoria, alla Downton Abbey, Versailles per citarne alcune.
Anche se in qualche raro caso (Downton Abbey) c’è uno sguardo dal basso che ricorda il brillante testo satirico di Jonathan Swift Elogio della servitù, di fatto questa angolazione è marginale rispetto al cuore della vicenda incentrata sul successo e il declino di una importante famiglia aristocratica inglese al tempo delle enclosures (recinzioni). Tema di grande rilevanza per la storia sociale ed economica europea che portò all’esproprio delle terre dei contadini per il pascolo, alla formazione del primo proletariato, fenomeno che dall’Inghilterra si diffuse in altri paesi europei (persino in Sardegna nel 1820 con l’Editto delle chiudende, lo Stato sabaudo cancellò la proprietà collettiva dei terreni avvantaggiando i grandi proprietari terrieri).
Un grande tema che come altri che hanno avuto una notevole rilevanza sociale vengono solo disegnati velocemente sullo sfondo di storie che esaltano gli intrighi di corte, la depravazione, la corruzione e le lotte delle élite per il potere.
Il bisogno del passato, questo tornare indietro ha una sua plausibile spiegazione nel nostro tempo in cui il futuro ci fa paura. Sono tante le distopie che ci minacciano, dalle guerre nucleari, informatiche, batteriologiche, alla catastrofe ambientale che si avvicina velocemente, alla stanchezza per la politica e per la stessa democrazia.
Ma, questo guardare al passato ha una cifra ben precisa: il ritorno ad una storia europea letta alla luce delle lotte per il potere delle élite, alle guerre per la formazione di imperi, allo scontro tra il potere degli Stati e quello del Papato, al ruolo determinante delle monarchie, ci riporta a prima del ’68 quando questa era la storia che si insegnava nelle scuole e all’Università.
I pochi storici, come il grande Fernand Braudel, erano sì conosciuti dagli addetti ai lavori, ma restavano fuori dai testi scolastici e universitari, con poche eccezioni che confermavano la regola. E’ stata la tanto vituperata rivoluzione culturale del ’68, la rinnovata influenza di Marx, a spingere migliaia di docenti e ricercatori a interessarsi della storia materiale, del ruolo delle masse popolari, della base strutturale delle lotte sociali che hanno poi cambiato il corso della nostra storia moderna. D’altra parte questo nuovo approccio influenzò in quegli anni il cinema, la letteratura e le arti grafiche, rovesciando il modo tradizionale di guardare al cambiamento ed evoluzione della società.
Questo inaspettato ritorno dell’immaginario seriale al fascino delle élite, ed in particolare al mondo di re e regine, va ben al di là del fatto specifico, risuona come un preciso campanello d’allarme della crisi della democrazia come governo del popolo.
Sono in tanti e in numero crescente che si domandano a cosa serva votare, così come sono sempre di più quelli convinti che la storia la fanno i grandi condottieri, le grandi personalità autoritarie, che, dunque, basterebbe trovare l’uomo della Provvidenza e l’Italia sarebbe finalmente consegnata alla salvezza.
In fondo il successo di Draghi fa parte di questa stato d’animo che accomuna una parte prevalente degli italiani in questa fase storica. A mio modesto avviso, a questa deriva ha contribuito anche il M5S portando al potere un personale politico con poche competenze ed esperienze, deludendo una parte importante di chi li ha votati. Pur riconoscendo alcuni risultati importanti (come il reddito di cittadinanza), l’idea del cittadino qualunque che può governare (il famoso slogan “uno vale uno”) è stata smentita dai fatti ed ha prodotto una pericolosa reazione: solo l’élite può governare, anzi meglio se è Uno Solo al potere.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento