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Meglio il «processo di Tunisi»

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Immigrazione Una contromisura alla volontà dell’Italia e della Ue di delegare ai regimi africani il rispetto dei diritti

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 28 marzo 2015

L’Europa è in guerra contro un nemico immaginario. Dal nostro punto di vista è una constatazione e non solo uno slogan. Una constatazione che si fonda principalmente su una vera e propria distorsione della realtà, costruita dai governi europei ed alimentata dall’approccio sensazionalistico di molta stampa.

Così, di fatto, si rende incomprensibile all’opinione pubblica la saldatura tra la crisi economico/politica di molti paesi di provenienza (del continente africano principalmente) e il fenomeno migratorio che da diversi anni trova, nel nostro Paese, uno dei canali d’ingresso preferenziali verso l’Europa.

Questo è uno dei punti di debolezza del lavoro che da anni svolgiamo come movimenti sociali/società civile/ movimento antirazzista europeo. Una difficoltà che ci impedisce di orientare il dibattito pubblico, ancora oggi fondato su un approccio sicuritario.

Una difficoltà che in questi ultimi anni si è moltiplicata a causa della congiuntura economico e sociale che ha indebolito progressivamente buona parte delle nostre società.

Da qui occorre ripartire per produrre in Europa e in Italia una alternativa alle attuali politiche sull’immigrazione, invertendo una rotta divenuta insostenibile e omicida. Basti pensare a ciò che continua ad accadere nel Canale di Sicilia, alle centinaia di vittime e di scomparsi che contiamo anno dopo anno.

Partendo da Tunisi, insieme alle tante reti internazionali di cui facciamo parte, abbiamo deciso di aprire uno spazio di riflessione pubblica al Forum Sociale Mondiale, in questi giorni, con la società civile africana ed europea. Con l’obiettivo di promuovere un processo dal basso quale contromisura al processo di Khartoum, che è una iniziativa del governo italiano alla quale hanno aderito tutti i Paesi membri dell’Unione europea, la stessa Commissione Europea e molti Paesi africani d’origine e transito dei migranti, che punta ad esternalizzare le frontiere, trasferendo la responsabilità del rispetto dei diritti umani, del principio di non respingimento e del diritto d’asilo ai Paesi partner africani, in alcuni casi governati dagli stessi dittatori (è il caso di quello eritreo) che sono la principale causa dei flussi di rifugiati.

È in parte ciò che abbiamo iniziato a fare lo scorso 3 ottobre a Lampedusa con Sabir, chiamando a raccolta centinaia di organizzazioni sociali e ponendo al centro delle nostre riflessioni la deriva neo colonialista dei governi europei, la loro assoluta incapacità nell’affrontare un vero e proprio caso umanitario e soprattutto i suoi tragici effetti.

La nostra proposta, accolta con interesse dalle tante reti presenti a Tunisi, si pone l’obiettivo di proporre alternative praticabili alle soluzioni ingiuste e sbagliate proposte dai governi dentro il quadro del processo di Kartoum. Lavoriamo dunque per ribaltare questa visione dell’Europa, provando a rendere più evidenti le connessioni tra crisi dei paesi e processi migratori, di fatto sempre più assimilabili a veri e propri processi di espulsione, su cui, peraltro, le mafie di mezzo mondo speculano abbondantemente nel più totale silenzio delle istituzioni.

Questo spazio di iniziativa, che abbiamo voluto chiamare il «processo di Tunisi» punta ad ottenere come risultato più importante l’accesso legale alle frontiere, superando di fatto le politiche di chiusura e di respingimento e sottraendo in tal modo le persone in cerca di protezione o in cerca di lavoro al rischio di morte e al ricatto di chi specula sulle leggi proibizioniste.

Ciò che avviene da decenni per le merci e per le transizioni finanziarie deve riguardare le donne e gli uomini in fuga dai propri paesi. Questo anche per uscire dalla logica emergenziale sulla quale sono basati da anni i processi di gestione delle frontiere e di prima accoglienza.

Una visione delle frontiere basata sul principio universale della solidarietà e della tutela dei diritti umani, della sicurezza delle persone e non dei confini, è ciò che serve anche al nostro paese per evitare ancora morti nel Mediterraneo.

* vicepresidente nazionale Arci
** coordinatore Arci Immigrazione e Asilo

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