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Medicina, le terapie anti cancro al centro

Medicina, le terapie anti cancro al centroJames P. Allison e Tasuku Honjo

Nobel Lo statunitense James P. Allison, Università del Texas, 70 anni e il giapponese Tasuku Honjo, 76, sono stati premiati per la loro ricerca sulla risposta del sistema immunitario ai corpi estranei

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 2 ottobre 2018

Come è ormai tradizione, la settimana dei Nobel si apre con quello per la medicina e la fisiologia. Che dopo molti anni è tornato a premiare una ricerca su terapie anti cancro, la malattia che ormai colpisce, durante tutta la vita, più o meno una persona su tre nel mondo, soprattutto in quella parte dove l’aspettativa di vita è più lunga. Le 9 milioni di corone (circa 900mila euro) del prestigioso premio sono andate allo statunitense James P. Allison (Università del Texas), 70 anni, e al giapponese Tasuku Honjo (Università di Kyoto), 76 anni, «per la loro scoperta della terapia per il cancro» attraverso l’attivazione del sistema immunitario. Ancora una volta, le donne hanno dovuto attendere.

NEGLI ANNI NOVANTA, i due ricercatori hanno capito, in modo autonomo, come intervenire sul sistema immunitario – che permette al nostro organismo di difendersi dai corpi estranei – per far sì che sia in grado di identificare le cellule tumorali e distruggerle. Dal punto di vista concettuale, l’idea ha più di 150 anni: ma i meccanismi che permettono ai linfociti T, uno degli elementi chiave del sistema immunitario, di riconoscere le cellule «invasore» e di attaccarle hanno iniziato a diventare chiari solo negli anni 80 del secolo scorso. Da queste basi è partito Allison, che in quell’epoca lavorava in California, e che ha scoperto che la proteina CTLA-4 funziona come un vero e proprio «freno» per i linfociti T. Un inibitore che nel caso delle malattie autoimmuni (quelle in cui l’organismo attacca le proprie cellule invece di quelle estranee) non funziona abbastanza bene.

MA LE RICERCHE di Allison invece andavano nella direzione inversa: e nel 1994 lui e i suoi furono in grado di curare il cancro nel topo sbloccando i linfociti grazie all’inattivazione della CTLA-4. Negli stessi anni, ma dall’altra parte del mondo, a Kyoto, Honjo scopriva un’altra proteina, la PD-1.
Per la verità, non aveva proprio idea che quello su cui stava lavorando avrebbe potuto avere conseguenze terapeutiche, come ha ammesso ieri in una conferenza stampa presso la sua università: «Non avevo capito che ci fosse un collegamento col tumore». Ma in una serie di esperimenti fu in grado di spiegarne la funzione, e si rese conto che anche lei era un «freno» del sistema immunitario, pur se con un funzionamento molecolare diverso dalla CTLA-4. E tra l’altro, con minori effetti collaterali della CTLA-4. Come spiegava il Karolinska, l’istituto incaricato della difficile scelta delle personalità a cui assegnare il premio, i due esperti «hanno dimostrato come strategie diverse per inibire i freni del sistema immunitario possano essere usate nella cura del cancro».

ENTRAMBE LE SCOPERTE più di 15 anni dopo, cioè solo all’inizio di questo decennio, hanno portato alle prime cure anticancro basate proprio su terapia immunologica. Nel 2011 la Food and Drug Administration statunitense ha dato per la prima volta luce verde a un farmaco basato sul meccanismo studiato da Allison contro il melanoma, il cancro della pelle.
Se Allison aveva ben chiaro qual era l’obiettivo della sua ricerca, Honjo è il tipico esempio del ricercatore di base che scopre un meccanismo potenzialmente molto efficace ma lavorando in un campo molto diverso. Nella conferenza stampa di ieri proprio Honjo ha detto che sperava che il riconoscimento «incoraggerà molti ricercatori di base». Anche Allison è d’accordo: i pazienti curati «sono la prova vivente del potere della ricerca di base».

È INTERESSANTE NOTARE che fu solo una piccola impresa a scommettere su questo approccio alla fine degli anni 90: le grandi imprese farmaceutiche all’inizio avevano paura di addentrarsi in un campo ancora poco esplorato rispetto alle tecniche di chemioterapia o radioterapia, molto più consolidate. Detto questo, l’immunoterapia non è certo la panacea di tutti i mali (alcuni pensano possa essere applicata in futuro anche ad altre malattie): alcuni tipi di cancro sono più resistenti di altri, in altri casi i pazienti sembra rispondano meglio all’inizio, e poi smettano di farlo. C’è ancora molta ricerca da fare.

«VOGLIO CONTINUARE questa ricerca perché questa terapia nel futuro possa contribuire a curare più pazienti possibile», ha detto Honjo nella conferenza stampa. E come spesso accade a chi si occupa di ricerca sui tumori, senza risparmiarsi un augurio troppo ottimista, e assai poco rigoroso: «il cancro verrà curato entro la fine del secolo».
L’idea di addestrare il sistema immunitario è comunque fertile: su queste pagine parlavamo non molto tempo fa di come anche la terapia genica stia fornendo utili strumenti. Ma questo sarà per un altro Nobel.

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