Con la sua ormai riconosciuta vocazione ad esplorare luoghi e figure irregolari della cultura e della letteratura, questa volta Filippo La Porta ci accompagna in un viaggio lungo la linea di confine tra parola e cura, dentro il tunnel della malattia individuale e collettiva, fisica e sociale. Cosa unisce tre scrittori in superficie così lontani come Cechov, Cèline e Carlo Levi? Tutti e tre sono medici, hanno curato principalmente i più deboli, gli umiliati e offesi della (propria) terra, e hanno esercitato una dura critica alla società del proprio tempo, sia pure con esperienze e scritture diverse.

ESISTE UN’AFFINITÀ tra la diagnosi medica e l’immaginazione creativa, sensibile ai dettagli e attratta dal lato invisibile della realtà. Da qui scaturisce l’interesse di La Porta per questo intreccio ne L’impossibile «cura» della vita. Cechov, Céline e Carlo Levi, medici-scrittori coscienziosi e senza illusioni (Castelvecchi, 2021), tanto più nell’inaudita stagione post-pandemica che stiamo vivendo.

Di questo triangolo medico-letterario, Louis-Ferdinand Cèline occupa un angolo acuto, il più doloroso e stridente. Il contatto prolungato con la sofferenza, scrive La Porta, può generare una particolare forma di sensibilità, fatta di pietas e condivisione, sia una certa dose di cinismo. Il medico clochard si colloca da questo lato dell’oscillazione. Medico compassionevole nell’azione quotidiana, resta un «malato», più vicino alla cupa disperazione dell’uomo del sottosuolo di Dostoevskij che al disincanto gentile di Cechov.

SE PER CÉLINE la malattia si sconta vivendo, costante è in Anton Pavlovic Cechov l’impegno a prendersi cura degli altri e anche dei luoghi della loro vita. Solo apparentemente ingenua, questa tenacia, come in un Sisifo domestico, esprime un indomabile attaccamento alla vita, nelle sue forme concrete, rifuggendone ogni (ri)costruzione filosofica.

Lo sguardo sulla biografia e gli scritti di Carlo Levi, infine, solo in apparenza può sembrare troppo obliquo. Levi chiude bene questa perlustrazione. Egli marca la soglia tra vecchio e nuovo, individua una sorta di convalescenza della civiltà occidentale. Molto in anticipo rispetto alla controffensiva, talvolta solo retorica in realtà, della decrescita felice, propone la civiltà contadina, seppure quasi estinta, quale paradigma di uno sviluppo sostenibile di emancipazione e di benessere integrale.

PER MEZZO della loro professione e della loro scrittura questi tre autori, così conclude efficacemente La Porta, sono discesi nel ventre del corpo sociale. La loro descrizione «esatta», clinica e oggettiva, dell’umanità equivale a una diagnosi di civiltà.

Ecco che la letteratura si rivela terapeutica nell’unico modo possibile, non esistendo, appunto, cure alla vita, aiutandoci a dare un senso alla nostra esistenza. Di Cechov è stato detto che le sue opere ci porgono l’unico vero farmaco disponibile per noi umani, lo sguardo di chi è pronto a vegliare al nostro fianco. E chi è quest’ultimo se non il lettore?