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Medaglie olimpiche e sport dimenticato

Medaglie olimpiche e sport dimenticatoMassimo Stano – Ap

Tokyo 2021 La pandemia Covid-19 ha evidenziato potenziali linee di azione pubblica per promuovere spazi per la pratica sportiva diffusi sul territorio e vicini alle persone: vere e proprie infrastrutture sociali capaci di garantire l’esigibilità del diritto allo sport.

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 8 agosto 2021

Le vittorie olimpiche sono traversali agli schieramenti politici: tutti se ne appropriano con lo stesso altisonante vocabolario patriottico, quando non populista, per poi dimenticarsene a manifestazione finita.

Qui, come in altri campi, i bagliori delle “eccellenze” conquistate in pochi febbrili giorni lasciano in secondo piano le esigenze e gli obiettivi di una politica popolare per lo sport. Una politica capace di promuovere e sostenere una capillare cultura del movimento, trasversale alle classi sociali, che porti le opportunità nei centri come nelle periferie, nelle grandi e nelle piccole città e paesi, nelle scuole di élite come in quelle più marginali.

La pratica sportiva ha importanti effetti inclusivi, specie in questo periodo in cui l’emergenza Covid-19 ha aumentato le diseguaglianze individuali e territoriali. Anche prima della pandemia, dalla fascia di età 11-14 anni a quella 15-17 la quota dei praticanti “continuativi” scende dal 61,5% al 50,5%, mentre nei primi due anni della maggiore età si arriva al 39,5% (https://italiaindati.com/sport-in-italia/).

Una divisione del lavoro squilibrata per genere fa sì che le donne abbiano a disposizione mediamente 55 minuti al giorno in meno rispetto agli uomini: la differenza di genere nella quota di partecipanti “continuativi” è di 12 punti: 41,3% contro 29,3%. Differenze e diseguaglianze che si vedono anche a livello territoriale, dove nel Nord Est la quota media dei praticanti continuativi è del 43,6%, contro il 26,3% del Sud. La funzione sociale dello sport richiede risorse, figure professionali e dignità pubblica. Partendo anzitutto dalle scuole.

Nel PNRR ci sono risorse per 1 miliardo di euro per due linee di investimento che riguardano il potenziamento delle infrastrutture sportive nelle scuole (300 milioni) e la creazione di impianti sportivi e parchi attrezzati (700 milioni). Risorse parziali rispetto ai bisogni. Sono solo 40 gli edifici di scuola dell’infanzia primaria e secondaria di primo grado, oggi, dotati di un locale dedicato in modo esclusivo alle attività motorie.

Nella maggior parte dei casi, però, si ricorre a locali “multifunzionali”, ci si deve spostare fisicamente o, come sempre più spesso nei servizi pubblici, arrangiare con fantasia e determinazione. Palestre scolastiche dedicate e attrezzate possono svolgere una funzione decisiva per il benessere e l’integrazione sociale.

La pandemia Covid-19 ha evidenziato potenziali linee di azione pubblica per promuovere spazi per la pratica sportiva diffusi sul territorio e vicini alle persone: vere e proprie infrastrutture sociali capaci di garantire l’esigibilità del diritto allo sport. Ha messo in luce la possibilità di ripensare i luoghi in cui praticare sport, nonché la sua funzione di rigenerazione territoriale. Dalle aree dismesse delle città, ai grandi vuoti urbani potenzialmente utilizzabili per attività sportive, all’utilizzo di parchi, fiumi, laghetti, aree collinari e montane tra la città e il suo territorio circostante.

È la stessa configurazione “metromontana” (mi permetto di rimandare a F. Barbera e A. De Rossi (a cura di), Metromontagna, Roma, Donzelli, 2021) del nostro paese a costituire una formidabile palestra a cielo aperto, per mettere in pratica una cultura del movimento davvero diffusa. Obiettivi, questi, che non ci saranno dati dal “mercato”.

E neppure, come programma nazionale, dalla filantropia e dai suoi esperimenti di innovazione sociale a macchia di leopardo sul territorio italiano. Pensiamo poi al capitale fisso, ai moltissimi edifici di proprietà pubblica che vengono concessi quasi solo per i grandi eventi. Un loro utilizzo genuinamente popolare richiede significative riduzioni dei costi di gestione, così come norme urbanistiche che facilitino la riconversione (anche temporanea) della destinazione d’uso dei luoghi. Si tratta di azioni che non richiedono enormi investimenti economici, se non in forma di sgravi che mettano le società nelle condizioni di lavorare senza dover pagare costi di affitto, utenze, pulizie.

Anche gli spazi verdi urbani sono luoghi elettivi per la pratica sportiva, di miglioramento della qualità della vita e di benessere diffuso, con significativi impatti sulle salute delle persone. Anche in questo caso servirebbero investimenti in infrastrutture sociali e attrezzature.

Un piano nazionale di questo tipo si dovrebbe accompagnare a un approccio adattivo rispetto ai corsi di vita delle persone, con una de-sincronizzazione degli orari adatta alle diverse fasce di età e di popolazione. Ci sono ampie fasce di popolazione che possono usare il mattino, soprattutto a scuole aperte, come momento della giornata da dedicare alla pratica sportiva.

Per affrontare questi problemi, occorre ripensare la funzione sociale dello sport come bene collettivo, con risorse adeguate e un’attenzione pubblica che non si attivi solo di fronte alle emozioni delle medaglie e al loro uso politico-mediatico.

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