Mecnavi-marzo ’87, tra Coronavirus e assenza di memoria
Ravenna, 13 marzo 1987. Una strage del lavoro, una delle tante in Italia, ma certo una delle più gravi. E sarebbe importante ricordarla, sempre. E in effetti ogni anno Ravenna […]
Ravenna, 13 marzo 1987. Una strage del lavoro, una delle tante in Italia, ma certo una delle più gravi. E sarebbe importante ricordarla, sempre. E in effetti ogni anno Ravenna […]
Ravenna, 13 marzo 1987. Una strage del lavoro, una delle tante in Italia, ma certo una delle più gravi. E sarebbe importante ricordarla, sempre. E in effetti ogni anno Ravenna si ritrova, nel ricordo e nel lutto ancora presenti, anche se purtroppo ogni anno la platea di chi ascolta e partecipa si va restringendo.
Quest’anno, poi, il coronavirus dà il colpo di grazia: non solo sono annullate tutte le manifestazioni di commemorazione, ma anche le testate locali dedicano poco spazio alla ricorrenza. Ma il nostro blog – Ravenna in Comune, la lista di sinistra che riunisce (caso raro in Italia), senza troppi conflitti, i vari pezzi della sinistra radicale e tanti «cani sciolti» – con un lungo articolo del consigliere comunale Massimo Manzoli che ripropone quell’evento così importante. Innanzi tutto per ricordare i nomi delle vittime: Filippo Argnani, Marcello Cacciatore, Alessandro Centioni, Gianni Cortini, Massimo Foschi, Marco Gaudenzi, Domenico Lapolla, Mosad Mohamed Abdel Hady, Vincenzo Padua, Onofrio Piegari, Massimo Romeo, Antonio Sansovini, Paolo Seconi. Tanti ragazzi, tanti della campagna, tanti al primo giorno di lavoro, tanti gli irregolari. Tutti morti.
La nave era l’Elisabetta Montanari, una gasiera di cento metri degli anni sessanta, piuttosto male in arnese. Necessitava di lavori di manutenzione, che voleva dire infilarsi in cunicoli paurosi. Il cantiere si chiamava Mecnavi ed era una delle imprese più importanti nel settore delle riparazioni navali.
Due personalità, l’allora Sindaco comunista Giordano Angelini, e il Vescovo non certo di sinistra Ersilio Tonini denunciarono le condizioni di lavoro, pronunciando dure condanne del liberismo capitalista rampante che allora – in confronto ad oggi – era appena agli esordi. «Non si può vivere così, non si può morire così», disse Angelini. E Tonini: «Fossero andati i genitori a visitare quei cunicoli (…) dove possono vivere e camminare solo i topi».
Purtroppo oggi, di quel buco nero nel porto e nella storia di Ravenna (il più grave incidente sul lavoro della nostra storia assieme a quello dell’elicottero precipitato nei pressi delle piattaforme di ricerca dei giacimenti di gas , anch’esso con 13 morti, occorso non troppo tempo dopo) , resta ancora molto.
Restano ancora molte delle cause, resta ancora una sorta di caporalato che intermedia la ricerca di lavoro in porto, c’è ancora il subappalto spinto, ci sono ancora condizioni contrattuali lontane dalla regola, ci sono ancora inadeguatezze nelle attrezzature e nella progettazione per la sicurezza. Il modello capitalistico di spremitura della forza lavoro, senza riguardo alle vite e alle storie delle persone, è ancora imperante, a dispetto di accordi e protocolli d’intesa con i sindacati.
Ravenna in Comune da tempo ha chiesto e ottenuto l’approvazione in Consiglio Comunale della costituzione di un apposito osservatorio per la legalità e la sicurezza sul lavoro. Ma tale deliberazione giace ancora nei cassetti e il Sindaco, così solerte a stimolare Prefetto e governo in difesa delle trivellazioni off-shore, su questo tema non dà alcun segno di volersi muovere.
È anche per questo che in questi giorni, dobbiamo ricordare i morti dell’ «Elisabetta Montanari».
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