Mechthild sponsale ed erotica, Dhuoda, Wallada e altre scrittrici medievali
Statua della mistica tedesca Matilde di Magdeburgo (1212 ca.-1283), realizzata dall’artista canadese Susan Turcot ed eretta nel 2010 a Magdeburgo
Alias Domenica

Mechthild sponsale ed erotica, Dhuoda, Wallada e altre scrittrici medievali

Letteratura medievale Una sorprendente antologia di Scrittrici del Medioevo dal VI al XV secolo, da Carocci editore. I temi: l’educazione, il sé e il mondo, la maternità, l’amore, il corpo e il sesso, la mistica e il sacro
Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 settembre 2023

Uno dei problemi che affliggono gli studi sempre più numerosi sulle donne nell’antichità e nel medioevo è spesso il riferimento a fonti improprie: un esempio tipico l’uso di passi decontestualizzati di san Paolo (che esprimeva e anzi modernizzava valori della società ebraica del I secolo d.C.) come base normativa e documentaria per la descrizione della vita femminile nel medioevo, che però comincia cinque secoli dopo estendendosi per altri dieci, e che adotta una legislazione del tutto indipendente da Paolo e ben più soggetta al diritto romano e alle consuetudini germaniche che alle ispirazioni bibliche. Un altro è il confronto implicito fra gli assetti sociali del «medioevo», spesso postulati su basi così fragili, con i desiderata della società occidentale a noi contemporanea anziché con altre società reali dell’epoca studiata.

In logica, queste scorciatoie retoriche vengono bollate come fallacia genetica (critica a una presunta premessa invece che al dato o all’argomento), esclusione di informazione rilevante, fallacie di presunzione (assunzione implicita non dimostrata), falsa causa, impertinenza della comparazione; nel discorso storiografico, invece, possono passare inavvertitamente perché la storia, come diceva Cicerone, è opus oratorium maxime. Per questo diventa fondamentale lavorare su fonti dirette e pertinenti: fra queste, rare sono nella medievistica le raccolte di testi di e su donne. Sul piano di storia del diritto un contributo importante l’ha dato Tiziana Lazzari con Le donne nell’alto Medioevo all’interno della collana «Il Medioevo attraverso i documenti» (Bruno Mondadori 2010); sul piano documentario una novità significativa è stata la piattaforma digitale Epistolae, della Columbia University, in cui l’équipe di Joan Ferrante ha raccolto e tradotto centinaia di lettere medievali in latino firmate da donne.

A livello letterario questa lacuna comincia ora a essere, se non colmata, almeno resa più consapevole dalla prima antologia plurilingue di autrici fra VI e XV secolo: Scrittrici del Medioevo (Carocci editore «Studi Superiori», pp. 401, euro 39,00) brillantemente progettata e diretta da Elisabetta Bartoli, Donatella Manzoli e Natascia Tonelli (fondatrici del centro interuniversitario MedioEva) per la cura di una ventina di studiose delle varie letterature medievali: latina, francese, occitana, germanica, italiana, arabo-andalusa, ebraica europea, spagnola, greco-bizantina. Il volume presenta cinquanta brani tradotti, spesso per la prima volta, con ariosa introduzione e nutrito commento e li articola in sezioni tematiche (L’Educazione, Il sé e il mondo, La maternità, L’amore, Il corpo e il sesso, La mistica e il sacro) seguite da brevi biografie delle oltre quaranta autrici incluse. Si tratta di una scelta ampia eppure estremamente selettiva all’interno di un corpus potenziale che, secondo una stima riferita nell’Introduzione, conterebbe oltre trecento autrici nel solo ambito latino (mentre, tanto per dare un’idea, le scrittrici del millennio classico, sommando Grecia e Roma, non arriverebbero a dieci). All’interno di questo largo ventaglio, che abbraccia decine di paesi europei, la parte del leone sarebbe rappresentata dalle autrici in latino, che per ragioni di connotazione e durata culturale delle lingue sono più numerose di quelle in vernacolo; ma la raccolta ha preferito mantenere una distribuzione grosso modo equivalente delle aree linguistiche, indipendentemente dalle effettive proporzioni numeriche dei testi storici. Questo criterio, se da una parte penalizza la ricchezza della letteratura mediolatina (sacrificando figure di dirompente originalità e spessore intellettuale), dall’altra aiuta a illuminare l’idea di una cultura medievale largamente composita, plurale, stratificata anziché monolitica e uniforme come talora si tende a rappresentarla.

L’impostazione del lavoro è ovviamente debitrice ai pionieri come il Peter Dronke di Donne e cultura nel Medioevo. Scrittrici medievali dal II al XIV secolo (ed. italiana il Mulino 1986), di cui costituisce un degno stimolo alla riscoperta e valorizzazione. Ma si inserisce anche nella tendenza recentissima (si pensi a Per una nuova storia letteraria di Federico Sanguineti o all’Oldoni di Essere Marta nel Medioevo) a ripensare radicalmente in termini di genere i canoni letterari.

La tipologia sociale delle protagoniste presenta molti casi di affiliazione monastica, l’àncora di salvataggio che ha consentito alle donne medievali uno spazio di autonomia sia da ruoli e obblighi familiari sia dalla carenza di strumenti di formazione altrove quasi inevitabile. Questa fattispecie è dominante nell’ambito latino ma non è esclusiva: non è monaca la disinvolta «medica» salernitana Trotula, cui sono attribuiti trattati di ginecologia attenti anche alle preoccupazioni cosmetiche e non lo è la dolente nobildonna Dhuoda, che nel IX secolo scrive al figlio un manuale di consigli per la vita. Ovviamente la figura monastica è invece assente nel mondo arabo e spesso nei testi del vernacolo italiano o ispanico, che in questa selezione, fondata soprattutto sul genere letterario epistolare, privilegiano mogli di mercanti, come Margherita Datini, e nobildonne dell’epoca prerinascimentale, in particolare madri come Alessandra Macinghi Strozzi e la Doña Tolosana.

Alcune scelte hanno ragioni nobilmente documentarie, perché già la semplice disponibilità di un testo per la prima volta accessibile in italiano – oltre che in originale – costituisce un’acquisizione, indipendentemente dal suo valore letterario (qualsiasi cosa si intenda oggi con questa espressione), come accade per alcune delle molte epistole antologizzate. In altri casi la materia disponibile può apparire invece esigua rispetto al rilievo storico-letterario: le pagine concesse a Eloisa (l’allieva-amante parigina del rivoluzionario teologo razionalista Abelardo, essa stessa a sua volta intellettuale celebre già da ragazza e scrittrice delicata e profonda) non possono render ragione del sovrano livello stilistico e del rivoluzionario impianto emotivo della sua scrittura, così come l’estratto dai dialoghi drammatici di Rosvita, con cui rinasce la creazione teatrale e quelli di Cristina de Pizan, l’autrice della Città delle dame, che in questo contesto rappresenta una sorta di metalivello autoriale. Una scoperta per molti lettori sarà Compiuta Donzella, riconosciuta ormai la «prima voce poetica femminile della letteratura italiana» (Teresa Nocita), autrice di irosi sonetti contro la chiamata al matrimonio, «ond’io marito non vor(r)ia né sire».

Fra i pezzi forti su cui il recensore non può non attirare l’attenzione (anche se l’antologia costituisce un evento rilevante proprio nella sua integralità) emergono per motivi diversi Dhuoda, Wallada, Maria di Francia e Mechthild von Magdeburg. Dhuoda per il coinvolgimento emotivo e – come commenta Manzoli – l’ansia per la propria fragilità che permea nevroticamente tutto il suo manuale di madre. Wallada (XI secolo), figlia del califfo ommayade Muhammad III, per la sorprendente violenza ipponattea del suo turpiloquio sessuale («Ibn Zaydun ha l’occhio del culo /che si innamora delle verghe che i calzoni custodiscono; / se avesse visto dei cazzi in qualche palmizio, / li avrebbe spremuti fino allo sfinimento»). Maria di Francia, una delle personalità più conosciute, perché nel suo affascinante lai L’usignolo crea una abilissima mise en abyme della propria scrittura poetica descrivendo il tessuto in cui la dama violentata ricama il testo della propria denuncia. Ma i passi più impressionanti provengono a nostro avviso da La luce fluente della divinità di Mechthild beghina di Magdeburg (composta tra 1250 e 1283), in una lingua che lo splendido studio introduttivo di Maria Rita Digilio definisce «prismatica e barocca». Mechthild reinterpreta in chiave esperienziale il Cantico dei Cantici e innova la comunicazione mistica introducendo formule nuove come quelle della Sinkende Minne, in cui la donna si sottrae all’«amore declinante» di Dio e creando un sistema espressivo inedito che ritmizza in moduli innodici la «smania inestinguibile di assoluto» dominante nella sua Brautmystik sponsale ed erotica («il dolce cinerino della mia impudicizia»).

In una tiepida notte del luglio 2003 più di trecento persone assiepavano il chiostro di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi a Firenze per lo spettacolo Femina perfida dulcis amica, organizzato dalla rivista «Semicerchio», in cui la poetessa-attrice Rosaria Lo Russo, il musicista persiano Kamran Khacheh e una parte dell’ensemble Modo Antiquo recitavano, cantavano e suonavano poesie medievali su donne e di donne da molte lingue (compreso celtico e persiano) in transizioni sorprendenti dal delicato all’esplicito, dal romantico al tetro, dal sognante all’ambiguo (l’adorante misoginia di Bernardo di Morlas). Fu un evento magico, di cui restano un cd inedito e qualche audiolettura salvata in Internet Archive. Vent’anni dopo, pur in tutt’altro clima culturale, questa antologia Carocci sembra recuperare lo spirito di quel piccolo miracolo e riattiva l’interesse su un patrimonio che dalla documentazione di genere sta conquistando un terreno più specificamente letterario.

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