McGough, elegia per i pantaloni di Paul McCartney
Alias Domenica

McGough, elegia per i pantaloni di Paul McCartney

Joe Tilson, The Five Senses - Taste, 1969, Londra, Tate

Poesia britannica L’ottantacinquenne poeta di Liverpool Roger McGough non smette di credere a una parola capace di danzare nella vita d’ogni giorno: La resa dei conti, Medusa, antologia italiana a cura di Franco Nasi

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 17 aprile 2022

Il lettore italiano che non abbia mai sentito nominare Roger McGough potrebbe scoprire di averlo già incontrato. Non però a uno dei reading che il poeta di Liverpool ha tenuto nel nostro paese. Il contatto, se c’è stato, è avvenuto a un livello un po’ meno alto: pop, verrebbe da dire. Era il 1968 e i Gufi cantavano La sbornia. Quel pezzo («Trinca, trinca, trinca, buttalo giù con una spinta… La medicina del mondo in rovina, stai tranquillo, è questa qua») rifaceva, anche se molto liberamente, Lili the Pink, folk song alcolico dei primi del Novecento che scalò le classifiche trascinato da un testo pieno di giocose allusioni a personaggi contemporanei. Firmava il testo il trio The Scaffold – cioè Michael McCartney (sì, il fratello di Paul), John Gorman e, appunto, Roger McGough.

L’ultima produzione di McGough, ricapitolata e tradotta con misura da Franco Nasi, è adesso disponibile in La resa dei conti Poesie scelte 2009-2021 (Medusa, pp. 170, euro 18,50). Motivi per scoprirla ce ne sono tanti. Dalla nota che Nasi, legato a McGough da una lunga fedeltà, ha messo a fine volume (segno che qui la poesia, meglio se letta a voce alta, deve precedere ogni spiegazione), ne scegliamo due.

Il primo: questa è poesia riportata fra la gente. Poesia scritta e interpretata da un uomo che, superati gli ottant’anni, non smette di credere a una parola poetica danzante nella vita di ogni giorno. Con questo spirito McGough continua a condurre Poetry, please – juke-box poetico della BBC al quale milioni di ascoltatori chiedono di riascoltare versi distanti nel tempo oppure nuovissimi, versi imparati a scuola, versi da dire quando si nasce o si muore, versi per un amore, per un’amicizia o per un paesaggio: la memoria di una lingua e la sua musica interiore.

Poi, fra le qualità che rendono subito amica la voce di McGough, è bello ricordare l’autoironia. Quella costante osservazione di se stesso mentre scrive che non gli permette, neanche per un attimo, di sentirsi un vate. Come in Feamous, ritratto di Seamus Heaney colto nella sua umile grandezza, che si chiude con uno sberleffo ai detrattori invidiosi; o nel delizioso aneddoto Ai pantaloni di Macca, dove un paio di pantaloni appartenuti a Paul McCartney, mangiati dalle tarme sul fondo di un baule, vengono rifiutati dal negozio dell’usato per finire incorniciati alla Tate. È filologia beatlesiana, ma anche sorridente elegia sul Tempo che divora, visto però al livello della più ordinaria quotidianità: «Niente più Cavern / né Shea Stadium né Carnegie Hall. / ‘Ehi vecchio mio, mi ridai i pantaloni? Sono Paul’».

Oppure, ancora, nella tenerissima confessione maritale del Signor d’Arc, sposo mancato di Giovanna d’Arco, che se la prende con le «voci», colpevoli di aver fatto dell’amata un’eroina e di averla finalmente portata al rogo. È per questo nostro tempo di corsa alle armi, in cui la morte eroica torna a essere tema di esercizi retorici, che McGough aggiusta l’ottica, abbassa il tono: «E se non fosse stato per voi, lei sarebbe restata con me / nella fattoria in Domrémy e avrebbe cresciuto i figli. / Sarebbe vissuta contenta e morta nell’oscurità. / Nessun martirio a diciannove anni, nessuna celebrità. / O voci, ne avete di risposte da dare».

Rimane un ultimo pensiero, non riportato nelle note del curatore, ma leggibile nella sua scelta, che è stata concordata con l’autore. Quella di McGough è anche una poesia della pietà. Che vediamo nascere sotto il cielo sereno di una vacanza in Italia da incontri casuali con creature minime: il bambino che chiede la carità in piazza a Modena; il meno-che-umano («un ragno zoppicante»), che si trascina chiedendo da mangiare alla stazione di Reggio Emilia; quelli di cui noi – i Fortunati – «Noi che solo schiacciando un tasto, / riempiamo il cappello del ragno di buon formaggio e castagne, / la ciotola del bambino d’oro traboccante» – non sapremo mai il nome, ma avremmo dovuto.

Racconta Franco Nasi che McGough, cattolico, se entra in una chiesa non ha ritegno a mostrarsi in preghiera. Allora ascoltiamo un vecchio che, facendo i conti con la propria vita (e trovando che tutto sommato gli sia andata bene), non guarda a sé stesso o ai tanti compagni di strada che non ci sono più: l’Eternal Rest di McGough è una preghiera per chi è morto prima di invecchiare. Così, senza tagli, ecco quello che ha da dirci una poesia ‘leggera’ per programma, profetica nella riuscita: «O Signore, ripensandoci bene, rimanda la Pace e il Riposo a un secondo momento / e dona loro un Eterno Divertimento. // Ancora in età per andare alle feste, quello che / amano è una pista da ballo affollata, / baristi simpatici, e il patrono dei buttafuori, / San Pietro all’entrata. // E allora, Signore, sia fatta la tua volontà. / Alza il volume, abbassa la Luce Perpetua, / e lasciali divertire. Amen». I soldati di vent’anni che non rinunciano a postare un balletto su tik tok erano già apparsi in questi versi. Segno che quando si fa sul serio, si può scherzare. Anche con Dio.

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