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Mazinga e gli altri, anche gli eroi hanno «anime»

Mazinga e gli altri, anche gli eroi hanno «anime»Ichiro Mizuki, voce delle sigle di «Jeeg robot d'acciaio» e «Mazinga Z»

Storie/Le sigle più avvincenti dei cartoni giapponesi a un anno dalla scomparsa del musicista Ichiro Mizuki

Pubblicato circa un anno faEdizione del 18 novembre 2023

Capita spesso che i grandi artisti muoiano a breve distanza gli uni dagli altri, molte volte unendo storie note a quelle meno note al grande pubblico. L’11 dicembre 2022 i giornali hanno dato la triste notizia della dipartita di una delle figure più importanti nel panorama musicale, Angelo Badalamenti, l’autore, tra le altre cose, del celebre tema di Twin Peaks. Giorni prima, il 6 dicembre dello stesso anno se ne andava via anche Ichiro Mizuki, conosciuto in tutto il mondo come «l’eroe degli anime», ovverosia dei cartoni animati giapponesi. Analizzando la sua storia consente anche di parlare delle sigle più celebri dei serial animati nipponici. Rigorosamente in lingua originale.

«L’IMPERATORE»
Nato il 7 gennaio 1948 a Setagaya, a Tokyo, Ichiro Mizuki ha iniziato la sua carriera musicale negli anni Sessanta come cantante solista. Kimi ni sasageru Boku no Uta del 1968 è uno dei suoi primi lavori e purtroppo rappresentò anche un insuccesso. Eppure la canzone, composta da Kanae Wada, è una ballata struggente su un amore non corrisposto e sull’incomunicabilità dei sentimenti, molto toccante e piena di pathos. La voce potente e appassionata dell’artista fa oltretutto da contrasto perfetto con l’azzardato retrogusto romantico dei testi. A causa di disaccordi con il suo manager, Mizuki meditò di ritirarsi dalle scene, ma nel 1971 la sua strada si incrociò con quella di Hidetoshi Kimura, il direttore della Nippon Columbia, che gli chiese di cantare la sigla di apertura dell’anime Genshi Shounen Ryuu (Ryu il ragazzo delle caverne). Fu un clamoroso successo e l’inizio di una carriera che ha contato ben 1200 brani incisi, soprattutto nel mondo dell’animazione. Mizuki quindi divenne un pioniere, uno dei primi che nobilitò il mondo dei cartoni animati con la sua professionalità e una voce inconfondibile, dai timbri molto potenti.
La canzone Mazinger Z no Uta, su testi di Fumihiko Azuma e arrangiamento di Michiaki Watanabe, composta per il cartone animato Mazinga Z, divenne un successo immediato e arrivò a vendere la cifra record di 700mila copie. Il pezzo presenta influenze rock e una forte orecchiabilità, formula tipica delle colonne sonore d’animazione giapponesi. È anche uno dei brani più iconici della storia della televisione da noi trasposta egregiamente dai Galaxy Group.
Negli anni fu la riconoscibile voce di grandi successi: Tekkaman, Jeeg robot d’acciaio, Mechander robot, Capitan Harlock, Lupin III e Voltron, per citarne solo alcuni. Suonò tra il 30 e il 31 agosto 1999, il «concerto delle 1000 canzoni», uno degli eventi più stupefacenti nella storia della musica giapponese: un’esibizione, senza interruzione, di 24 ore, che contava 1000 canzoni, appunto. A tutt’oggi un concerto considerato «leggendario».
Ichiro Mizuki era affettuosamente conosciuto con il soprannome di «Aniki», l’«Imperatore del mondo delle canzoni degli anime». Purtroppo gli ultimi anni lo videro lottare contro una terribile malattia. La sua ultima esibizione è stata una commovente performance in sedia a rotelle, il 27 novembre 2022 con la stessa grinta di quando nel 1968 incise il suo primo singolo. Neanche dieci giorni dopo si spegneva all’età di 74 anni in un ospedale di Tokyo l’uomo, ma non la sua voce, eterna nella storia della musica.

LA PRIMA HIT
La prima grande hit di cartoni animati giapponesi è probabilmente Umi no Triton di Ishikawa Akira, la sigla di apertura dell’omonimo anime trasmesso nel 1972. La canzone, scritta da Yamamoto Naozumi e arrangiata da Ohno Yuji, racconta le avventure del giovane Triton, un ragazzo che lotta per proteggere gli oceani dal malvagio Nereus. Tratto da un manga di Osamu Tezuka, da noi arrivò su alcune reti locali come Toriton, nel 1982, ben dieci anni dopo, con una sigla eseguita dai Rocking Horse, uno dei molti nomi usati dalla band Superobots di Douglas Meakin. Se la nostra versione è più pop, quella di Ishikawa Akira ha un approccio più rock, aggressivo, con una melodia meno gioiosa del remake italiano.
Uno dei cult dell’animazione di tutti i tempi è senza dubbio Candy Candy, un anime televisivo di 115 episodi, trasmessi dal primo ottobre 1976 al 2 febbraio 1979 su TV Asahi, con la regia di Shun’ichi Yukimuro, il character design di Mitsuo Shindo e le musiche di Takeo Watanabe. Da noi arrivò su Canale 5 come Dolce Candy, ma prima conobbe un immediato successo sulle reti private col titolo originale. Storia strappalacrime, d’altronde era tratto da uno shojomanga (un fumetto romantico) scritto da Kyoko Mizuki e disegnato da Yumiko Igarashi, su una giovane orfanella dai biondi capelli e i suoi turbamenti sentimentali, conquistò tutto il mondo e sdoganò l’idea di un cartone animato fruibile anche agli adulti. La colonna sonora in Italia fu eseguita, nella sua forma migliore, ancora dai Rocking Horse e, in seguito, in una versione meno accattivante e più sdolcinata, da Cristina D’Avena su testi di Alessandra Valeri Manera. L’edizione giapponese utilizza invece Candy Candy, cantata da Mitsuko Horie con la partecipazione dei Chirps, come sigla di apertura, e Ashita ga suki, eseguita dagli stessi, come sigla di chiusura.
La canzone principale dell’opera si allontana dai toni malinconici di quella dei Rocking Horse: è molto più varia nell’uso degli strumenti con l’utilizzo persino di un flauto, e un andamento meno allegro, in alcuni momenti vicino al pop rock. Sicuramente più monotona, ma forse perché siamo da sempre abituati noi italiani al gatto della sigla nostrana che in realtà era un procione e alla voce con accento britannico che esordiva con «Candy è poesia, Candy Candy è l’armonia, Candy è la magia, Candy Candy è simpatia». Quando poi, a dirla tutta, Dolce Candy era un cartone animato ben poco allegro, con la guerra, i personaggi che morivano male e un certo retrogusto desadiano nelle torture inflitte alla giovane dai diabolici cugini.

ARRIVA KEN
Facciamo però un balzo negli anni Ottanta, prima di concludere questa breve carrellata, con Hokuto no Ken, da noi Ken il guerriero, un vero cult. Se la sigla italiana è bellissima, struggente e romantica, lo stesso vale per quella originale, eseguita dai Crystal King. Il brano italiano è stato realizzato nel 1986 da Spectra, pseudonimo dietro il quale si celava Claudio Maioli, interprete della canzone e autore della musica, mentre il testo venne scritto da Lucio Macchiarelli. Ai wo Torimodose dei Crystal King era puro rock, con un uso della chitarra elettrica incisivo e aggressivo e un sound molto potente e dinamico. Molti fan però la conoscono come You Wa Shock, per via di uno dei ritornelli più famosi della melodia, e ha fruttato al gruppo ben 500mila copie di dischi venduti. Il rock però è nelle corde della serie che, nella seconda stagione originale, usa l’ancora più grintoso Tough Boy dei Tom Cat, uno dei gruppi più eclettici della storia delle colonne sonore giapponesi, capaci di passare da tonalità forti del primo brano a un j-pop romantico con la famosa Love Song che accompagna i titoli di coda di Hokuto no ken 2. D’altronde, ce lo insegna anche Clint Eastwood, anche i duri piangono.

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