Max Liboiron e lo smog plastico
Cristalli liquidi Max Liboiron, immagini digitali dalla serie «Seeing Like a Scientist»
Cristalli liquidi Max Liboiron, immagini digitali dalla serie «Seeing Like a Scientist»
La forma circolare dell’immagine – quella di una piastra di Petri? –, il fondo nero, la luminosità netta, la distribuzione ordinata degli elementi: tutto fa pensare alla visione lenticolare del microscopio affermatasi nel XIX secolo. A realizzarla è Max Liboiron, scienziata dell’ambiente che insegna Geografia alla Memorial University nonché artista e attivista. Estratta dalla serie Seeing Like a Scientist (2016), l’immagine digitale non mostra tuttavia un caleidoscopio di microrganismi colorati o l’ingrandimento di un complesso biologico, ma dei frammenti di plastica ingeriti da una gazza marina minore o piccola alca (Alle alle) l’anno precedente. Malgrado il dispositivo scientifico, i colori e le forme della plastica, così presentati, attraggono il nostro sguardo; difficile realizzare che si trovavano nello stomaco di un piccolo animale e che quanto vediamo è la causa probabile del suo decesso.
Liboiron ci mette in guardia: dissezionando il tratto gastrointestinale di animali marini per vedere cosa hanno mangiato, non tutto quello che somiglia alla plastica lo è. Ma in questo caso a sorprendere è la provenienza della gazza: non una zona altamente industrializzata ma un luogo remoto che non associamo all’inquinamento, ovvero Newfoundland o Terranova. Un’isola canadese dell’oceano Atlantico, una ex-colonia britannica, frequentata dagli europei sin dal XIV secolo, con una comunità di immigrati irlandesi che lavoravano in campo ittico. La plastica non è solo sui rami degli alberi, come le buste trasportate dal vento, non è solo in cima alle montagne o in isole di plastica galleggianti negli oceani. Se è dopotutto rassicurante sapere che si condensa in isolotti sperduti – tra le Hawaii e la California, vicino al Giappone, a nord delle Hawaii –, più inquietante è realizzare che la sua presenza è molto più insidiosa e ubiqua: fluttua nell’aria come le microplastiche e stagna all’interno di qualsiasi organismo vivente. È precisamente quanto studia Liboiron col progetto PENIS, un acronimo che sta per Plastic Extraction Nautical Instrument System, «un sistema di pesca a strascico progettato per raccogliere e mostrare la plastica marina e sollevare la questione dell’alterazione del sistema endocrino e i suoi legami con l’infertilità, nonché per sviluppare una cittadinanza scientifica queer e femminista».
Ma anche anti-colonialista, legata al mondo indigeno da cui lei stessa discende e che promuove all’interno del CLEAR (Civic Laboratory for Environmental Action Research) a Newfoundland. Liboiron si serve così di immagini falliche e sessualizzate per mostrare come «la plastica entra nei nostri corpi… rendendoci sterili e segnati come le terre che inquiniamo». Dal momento che, nel XXI secolo, possiamo trovare la sostanza petrolchimica nella biosfera, all’interno di qualsiasi organismo e specchio d’acqua sul pianeta, si è cominciato a parlare di Plastisfera o di Plasticene. Efficace l’espressione di Liboiron: «plastic smog», come se le immagini di Seeing Like a Scientist siano in realtà radiografie dei nostri corpi. Del resto Liboiron è specialista dei discard studies che, anziché limitarsi a studiare i rifiuti e la spazzatura, studiano i sistemi di marginalizzazione di luoghi e pratiche culturali, nonché la svalutazione delle persone, considerate alla stregua di beni disponibili e intercambiabili. Come recita il titolo del suo libro, Pollution Is Colonialism (Duke University Press 2021). Inutile chiedere a Liboiron se Seeing Like a Scientist sia più vicino all’arte o alla scienza: «nella cultura occidentale la divisione tra arte e scienza ha appena 150 anni. Ci sono persone che conoscono persone che erano vive ai tempi in cui questa differenza non esisteva».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento