Mauro Palma: «Basta logiche emergenziali e serve un controllo dei centri»
La nostra Africa Mauro Palma, Garante dei detenuti, vuole poter ispezionare anche i Cas come Cona. Entro gennaio visiterà Hotspot e Cie. Ma negli Hub non c’è autorità a cui appellarsi
La nostra Africa Mauro Palma, Garante dei detenuti, vuole poter ispezionare anche i Cas come Cona. Entro gennaio visiterà Hotspot e Cie. Ma negli Hub non c’è autorità a cui appellarsi
Si appresta a partire per ispezionare tutti e cinque i Cie esistenti (Caltanissetta, Bari, Roma-Ponte Galeria, Torino e Brindisi) e tutti e quattro gli Hotspot (Lampedusa, Pozzallo,Taranto e Trapani), Mauro Palma, presidente del collegio del Garante nazionale delle persone detenute e private della libertà personale. «Li voglio visitare tutti entro gennaio», annuncia. Ma dopo la rivolta di Cona non vorrebbe limitarsi a questi, vorrebbe mettere il naso nelle altre mega strutture per migranti.
Nei cosiddetti Hub o Cpa, i centri di prima accoglienza, e nei Cas, cioè centri di accoglienza straordinari, lei non ha competenza, vorrebbe visitare anche quelli?
Sì, teoricamente la competenza del Garante è vincolata alle condizioni di privazione della libertà personale com’è nei Cie e negli Hotspot finché le procedure di fotosegnalazione e smistamento non sono espletate, e nei voli di rimpatrio non volontari. Ma sono intenzionato ad aprire un confronto dialettico con il ministero dell’Interno per quanto riguarda le strutture meno definite formalmente come questi Hub. Lì, anche se i migranti possono uscire nelle ore diurne, le restrizioni della libertà sono in ogni caso talmente condizionanti per i soggetti da poter essere assimilate alla privazione della libertà. Ho degli argomenti per sostenere questa tesi.
Quali?
In Francia fino al ’95 in strutture paragonabili ai nostri Cie non era ammessa l’autorità dei comitati anti tortura, che hanno competenze simili a quelle del Garante, perché, si diceva, il soggetto è sempre libero di comprarsi un biglietto e tornarsene indietro. La Corte di Strasburgo nel ’95 ha ribaltato questo indirizzo. E poi è interesse anche dell’istituzione che ci sia un organismo di controllo sulla vita interna di queste strutture come sulle cooperative che le gestiscono.
Hotspot, Hub, Cas: non è proprio chiaro cosa siano dal punto di vista giuridico. Ha difficoltà di inquadramento normativo per i suoi interventi?
La gestione delle strutture per migranti è ancora legata a una logica emergenziale mentre si dovrebbe passare a una situazione strutturale, molto più definita. La differenza è fortissima. Di fronte a un evento inatteso come la cosiddetta «Emergenza Nordafrica» del 2011, era comprensibile che il quadro presentasse sfumature e anche ambiguità, altro conto è attrezzarsi alla gestione di un flusso migratorio che è strutturale. È chiaro che serve un quadro normativo più solido, che preveda, ad esempio, la possibilità di appellarsi a una autorità terza. Non solo per quanto riguarda la domanda di asilo ma anche di fronte a condizioni indecorose di permanenza nei centri. Nei Cie c’è una competenza limitata, diciamo una tutela debole, del giudice di pace ma nelle altre strutture non c’è a chi appellarsi. E non va bene. Ora, negli Hotspot i paesi nordeuropei avrebbero voluto, per accelerare le identificazioni, che le procedure di rilevamento potessero essere anche forzate e l’Italia, giustamente, si è rifiutata. A causa di Dublino, com’è noto, molti richiedenti asilo non vogliono essere registrati in Italia. Si cerca di convincerli, è così che funziona nei nostri Hotspot. Ma quanto tempo possono essere trattenuti in questo tentativo di convincimento? Tre mesi o tre giorni? Non è specificato. Ecco come una decisione condivisibile dentro una logica emergenziale diventa non condivisibile.
Ma lei, come Garante, come può intervenire?
Il Garante può operare un controllo di regolarità, sia sulla vivibilità interna ai centri, sia sui ricorsi e i diritti dei soggetti, sia sulla gestione delle strutture. Direi che questi interventi possono essere rubricati come limitazione del danno. La questione di maggior rilievo è però aprire una interlocuzione con il Viminale e ora anche con l’Anci. E devo dire che finora il ministero appare più sensibile rispetto a certi Comuni. Non ci possono essere grandi concentrazioni come quella di Cona. Mettere 1.340 persone in un territorio fatto di piccoli borghi non funziona. Le grandi strutture soddisfano una funzione meramente contenitiva ma non sono controllabili all’interno né sicure, al contrario dei piccoli insediamenti diffusi, così un Paese grande come il nostro può largamente gestire il flusso attuale di profughi.
Le sembra corretta la ripartizione tra migranti economici, da espellere sempre più in fretta, e rifugiati e profughi, da accogliere?
Esiste una tripartizione: profugo di guerra – con asilo praticamente automatico -, soggetto a rischio individuale, emblematico il caso di chi è perseguitato nel suo paese in quanto omosessuale, e il «migrante economico». Si può accettare che le tre tipologie abbiano trattamenti più e meno agevolati ma che il terzo gruppo sia l’unico trattato con totale intransigenza, destinatario di nessuna possibilità, no, non funziona.
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