Eccellente trombonista, strumentista e arrangiatore, ha lavorato a lungo con Enrico Rava, Franco D’Andrea e ancora oggi collabora con Vinicio Capossela, Dave Douglas, Paolo Fresu, solo alcuni dei nomi in un elenco sterminato. Mauro Ottolini è una delle figure più eclettiche in circolazione, ma soprattutto un inesauribile studioso di tutto quanto circonda l’ambiente musicale. Nada Màs Fuerte è l’ultimo dei suoi mille progetti – un disco inciso per Azzurra Music che prende vita dalla suggestione della musica popolare e in particolare per quella messicana, peruviana, libanese, portoghese, criolla, cubana. Con grande attenzione posta in particolare su interpreti e autrici femminili. Così Chavela Vargs si unisce alle voci della compositrice Maria Grever o a quelle di Maria Teresa Vera e Celia Cruz. Nell’album – bellissimo e curato nei minimi dettagli, registrato con la partecipazione dell’ensemble degli archi dell’Orchestra Filarmonica Italiana, la voce profonda e cangiante di Vanessa Tagliabue York e l’autorevolezza di musicisti come Marco Bianchi e Thomas Sinigaglia. Un lavoro che verrà presentato anche nel corso di un live set in programma al Torino Jazz Festival il 25 aprile. «È un album a cui tengo moltissimo ed è il frutto di anni di collaborazioni e ascolti con artisti sudamericani. Trovavo un pezzo e lo mettevo da parte, come nel caso di Luz de Luna che ho sentito per la prima volta nel film su Frida Kahlo. Una raccolta durata anni e che finalmente ho deciso di incidere in un disco».

Le parti vocali sono affidate a Vanessa Tagliabue Yorke

È un album che ho potuto fare per le sue straordinarie capacità di cantare in tante lingue, con lei ho realizzato altri dischi. E qui si cimenta anche in libanese. È un’artista dalle mille possibilità e un talento interpretativo non comune.

Nel disco una parte fondamentale negli arrangiamenti e che conferisce un suono volutamente vintage alle esecuzoni, è la partecipazione dell’ensemble di archi…

Un vero lavoro di equipe perché per me suonare è anche mettermi in discussione, ed è soprattutto l’occasione di studiare perché il mio obiettivo è quello. Imparare sempre qualcosa, visto che le soddisfazioni ’economiche’ nell’arte sono sempre meno, almeno c’è la consapevolezza di una mia crescita musicale tangibile. Non mi interessa il successo o la popolarità: mi piacerebbe che si apprezzasse la bella musica. In realtà oggi impera la mediocrità, dover essere schiavi dei social, di Spotify, di queste piattaforme che schiavizzano l’artista e lo denigrano.

Qualche esempio?

Presto fatto: ho registrato Nada Màs fuerte in uno dei migliori studi che ci sono in Europa (Artesuono a Cavalicco in provincia di Udine, ndr). Poi quando arriva Spotify, comprime i suoni e tutti gli equilibri e le sfumature si perdono. Insomma è una mancanza di rispetto nei confronti della musica. Il problema è che sei costretto a stringere accordi con loro, visto che non esiste più un mercato discografico e tutta la musica viaggia…liquida. Ci siamo assuefatti alle playlist, ascolti di sottofondo dove non sai chi ha suonato la batteria, chi ha prodotto o fatto gli arrangiamenti. L’Italia – dal punto di vista musicale – vive un momento di profonda crisi, perché all’estero non è così.

Tra gli inediti di «Nada màs fuerte» – a sua firma – un brano dedicato ad Alda Merini.

Mi è venuto in…soccorso uno straordinario arrangiatore che ha lavorato durante gli anni d’oro della Rca: Marcello Fineschi che ha collaborato con Modugno. Lui ha ascoltato il pezzo e gli è piaciuto, tanto che si è proposto di arrangiarlo. In realtà io avevo già un’idea di archi e invece Marcello ha fatto una cosa completamente diversa che mi ha reso immensamente felice, perché lo ha arricchito.

Dagli album e dai concerti dal vivo emerge la sua capacità di combinare la musica in varie declinazioni. Da dove nasce questa passione di fondere stili e musiche?

Diciamo che ho iniziato non come jazzista ma come musicista classico. Ho lavorato dodici anni all’arena di Verona come trombettista ma anche nel mondo della contemporanea. Perché metto sempre la passione alla base. La musica è studio e per me ha sempre rappresentato una crescita culturale. C’è stato un periodo, circa due anni, in cui mi sono dedicato tre ore tutti i giorni all’ascolto della contemporanea. Partivo da John Cage per approdare a Berio e comprendere, alla fine, il suo lavoro straordinario.

Con un artista molto strutturato come Franco D’Andrea ha collaborato per molto tempo.

Innanzitutto D’Andrea è stato il mio maestro al conservatorio e poi lavorare con lui è stato una bellissima esperienza. Lo studio di Monk è stato fondamentale, anche perché abbiamo analizzato spesso i pezzi anche dal punto di vista della contemporaneità e quindi ogni volta che ho suonato nel suo ensemble è stato anche una continua lezione di musica. E di pensiero.

Al Torino Jazz Festival si esibirà il 25 aprile in trio con Tomas Sinigaglia alla fisarmojica e Marco Bianchi alla chitarra classica.Cosa proporrete?

Uno spettacolo che abbiamo intitolato In quell’angolo della strada, perché mi è capitato nella vita di sentire per la strada dei musicisti suonare delle cose pazzesche. E sottolineo che una parte dei musicisti che più mi hanno colpito nel corso del tempo, erano autodidatti. Come nel caso – ti faccio un esempio – di Franco D’Andrea. Il repertorio scelto per quella sera non è solo jazz, ma parla anche di altri autori come Nino Rota e canzoni d’autore e dei primi del novecento. La bellezza della musica è confrontarsi con tutti gli stili.