Il destino di Giacomo Matteotti è simile a quello di altre grandi figure che vengono ripescate dall’oblio nel discorso pubblico, spesso a ridosso degli anniversari, per essere inserite in un pantheon dove da vivi si sarebbero sentiti senz’altro fuori posto. Matteotti non sfugge a questa dinamica di oblio/strumentalizzazione nonostante sia uno dei nomi fondativi del pantheon repubblicano resistenziale, il settimo nome per presenza nella toponomastica nazionale, il primo se si considerano i politici del ‘900: tra ponti, strade, piazze e scuole, il nome del leader socialista trucidato dal regime fascista ricorre circa tremila volte.

ORA CI SAREBBE DA DISCUTERE se l’intitolazione di luoghi serva davvero a sostenere la memoria collettiva ma quello che qui preme sostenere è il rischio di un ricordo vago o appiattito su una sola dimensione a seconda delle torsioni del dibattito politico. Così capita che l’intransigente oppositore della Prima guerra mondiale venga oggi osannato da chi non ha mai tentennato di fronte al rifinanziamento delle missioni cosiddette di pace e l’organizzatore delle rivendicazioni salariali e sociali dei braccianti e degli operai del Polesine venga rivendicato da chi ha fatto della moderazione salariale, delle privatizzazioni e dei tagli al welfare la propria bussola.

Su tutto spicca il rischio che di Matteotti resti alla fine soltanto la sua morte, l’omicidio politico più grave della storia dell’Italia unita con un capo del governo che commissiona la liquidazione del capo dell’opposizione parlamentare nella quieta condiscendenza del capo dello Stato. La trama del complotto rischia di offuscare lo spessore politico e intellettuale di Matteotti, ucciso a soli 39 anni, venticinque dei quali vissuti nella militanza socialista.

Nella vasta pubblicistica commissionata nel centenario del suo omicidio spiccano le 880 pagine pubblicate nei Fenicotteri di Baldini+Castoldi (euro 29), che l’autore, Pino Casamassima, ha voluto titolare Tempesta, dal soprannome che il leader riformista s’era guadagnato per le forme della sua passione politica.

Casamassima, giornalista, scrittore e autore teatrale, combina i registri letterari con quelli dell’inchiesta per restituire un corpus composto da una prima parte in forma di romanzo e una seconda in forma di saggio alle quali aggiunge un robusto apparato di testimonianze, documenti e cronologie a dimostrazione non solo del rilievo della figura di Matteotti ma della complessità di una vicenda che chiama in causa l’intero regime e il sottobosco di comprimari e complici.

LA PARABOLA DELLO SCONTRO tra Matteotti e Mussolini, che si consuma già a partire dal 1914 nei ranghi del Partito socialista, dà la possibilità di rileggere anche il contesto dentro cui matura la sconfitta storica del movimento operaio e l’emersione di quella tendenza delle borghesie a escogitare soluzioni autoritarie per reagire alle crisi sociali prodotte dalle contraddizioni del modello stesso di sviluppo.

E dentro questo contesto c’è il poderoso lavoro d’inchiesta di Matteotti che svela la cifra violenta del fascismo ben prima del «discorso del bivacco» del duce, con decine di articoli usciti in Italia e all’estero, il famoso pamphlet (Un anno di dominazione fascista), 106 interventi a Montecitorio fino a quell’accusa che non riuscì a formulare ma che verrà alla luce comunque: quella per cui il regime che si dipingeva come il più patriottico possibile, stava per svendere le concessioni petrolifere in cambio di tangenti, ovvero l’affare della Sinclair Oil. Il delitto si consumò alla vigilia del giorno in cui Matteotti era iscritto a parlare alla Camera proprio per scoperchiare lo scandalo.