Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili
La solitudine dell’eterno secondo. Nel 2019 aveva fatto cadere un governo di cui era vicepremier puntando invano a palazzo Chigi. Poi, dopo due anni all’opposizione, è stato costretto a dare il via libera al governo Draghi, che non lo ha mai convinto. Nel frattempo, da unica opposizione, Meloni gli ha drenato montagne di voti fino a prendersi la guida del centrodestra.
Dal palco di piazza del Popolo, tre giorni prima del voto, aveva gridato la sua voglia di tornare al Viminale: «Non vedo l’ora». E ora si ritrova alle infrastrutture, ministero pesante ma molto inferiore alle sue ambizioni, con il rivale interno, il draghiano Giorgetti, proiettato all’Economia e scelto direttamente dalla premier quasi in sfregio all’alleato. Per il capo leghista è come un gioco dell’oca: si ritrova due caselle più indietro rispetto all’estate del Papeete. E già alza la voce nei confronti del neoministro del Mare Musumeci: «I porti li gestisco io».
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