Matteo Gaddi, ricercatore e membro della Fondazione Claudio Sabattini, coautore del libro «L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo» (Punto Rosso):, il ministro «del made in Italy» Adolfo Urso ha proposto un accordo su un «trimestre inflazione» a partire da ottobre. Dopo un anno e mezzo di inflazione, oggi al 6,4% in Italia, e un carrello della spesa al 10,4% che impatta sulle famiglie e i lavoratori, la misura è adeguata?
Di fronte ai dati che lei cita questa iniziativa è assolutamente insufficiente. Di fatto, al momento, ha partorito soltanto una lettera di intenti sottoscritta da alcuni soggetti della distribuzione commerciale. Un testo che si limita a definire un impegno generico a «promuovere» presso le imprese associate iniziative di «calmierazione» dei prezzi. Le singole imprese di distribuzione e commercio potranno decidere su base volontaria. Saranno loro a decidere se, e come, applicare promozioni su alcuni articoli o prezzi calmierati. Oltretutto «calmierare» cosa significa? Che non aumenteranno i prezzi o che li aumenteranno di meno?

Quindi non ci sarà alcun obbligo a calmierare i prezzi, e tutto sarà lasciato alla libera decisione delle imprese?
È evidente. E poi perché soltanto per tre mesi? Non ha nessun senso. Nelle stime più diffuse si dice che l’inflazione durerà anni. E il resto del tempo che facciamo?

Matteo Gaddi
Matteo Gaddi (Fondazione Sabattini)

Quali sarebbero gli interventi da fare?
Una vera iniziativa di controllo dei prezzi dovrebbe prevedere la fissazione strutturale di un prezzo massimo di vendita: cosa che questo governo non ha assolutamente intenzione di fare. Un intervento minimamente sufficiente dovrebbe inoltre avere un carattere «verticale», cioè interessare le intere filiere.

In che modo?
Restiamo all’esempio del carrello della spesa che comprende i generi alimentari: non ha senso limitare il controllo dei prezzi soltanto all’anello finale, quello della vendita, ma dovrebbe coinvolgere tutte le diverse fasi dell’intera filiera: la produzione delle materie prime, la prima trasformazione alimentare, la realizzazione del prodotto finito. Altrimenti hanno buon gioco le imprese delle diverse fasi, proprio come sta avvenendo, a rimpallarsi le responsabilità dei rincari e a chiamarsi fuori da tentativi di controllo dei prezzi. Urso, su questo, è in difficoltà.

Come giudica l’iniziativa del governo che nel «Dl asset» di lunedì si propone di «cancellare» l’algoritmo che sarebbe responsabile del caro-voli?
Dietro un algoritmo c’è sempre la volontà umana che lo ha programmato. Oltre a regolarlo servirebbe una politica dei prezzi che per tutto l’anno, e non quasi alla fine dell’estate. Una politica che regoli in maniera coordinata queste speculazioni vergognose.

Perché i governi preferiscono interventi spot, e propagandistici, a interventi strutturali?
Per tenersi le mani libere, evitare la fissazione dei prezzi, anche nel settore dell’alimentare. Un settore che anche nell’anno «clou» del Covid, il 2020, ha realizzato super-profitti. Assumere decisioni strutturali richiama la necessità di definire interventi di programmazione generale; cosa che richiama l’intervento pubblico in economia. Mentre questo governo conferma, come i precedenti, una notevole dose di liberismo economico.

Un rapporto di Legambiente ha denunciato la speculazione ai danni dei pendolari. E il Pnrr, su questo capitolo, si concentra più sulle grandi infrastrutture, comprese quelle dell’alta velocità. Che idea di politica industriale è?
In questo settore storicamente i prezzi venivano definiti dal decisore pubblico. Con la liberalizzazione del settore è arrivata anche la liberalizzazione dei prezzi. Nel trasporto pubblico locale, inoltre, si assiste da anni al definanziamento. È evidente che senza finanziamento pubblico, per far funzionare il servizio si scaricano i costi sugli utenti, cioè i lavoratori e gli studenti pendolari. Il Pnrr è un classico esempio di assenza di politica industriale. Si appostano miliardi per il rinnovo del parco autobus, giustamente, ma non ci si preoccupa del fatto che in Italia su 3-4 mila autobus immatricolati annualmente ne vengano prodotti solo poche centinaia. Questi miliardi si tradurranno in aumento delle importazioni, se non si amplia la capacità produttiva, e quindi l’occupazione, a livello nazionale.

In che modo l’aumento dei tassi di interesse con il quale la Bce, e le altre banche centrali, stanno cercando di fare abbassare l’inflazione sta influendo sull’andamento dei prezzi?
Il rapporto è relativamente semplice: ad un aumento del costo del denaro, le imprese rispondono scaricandolo sui prezzi finali. Scontiamo tutti gli aspetti negativi della nuova regolazione del mercato dei capitali. Se la Fed aumenta i tassi di interesse, e la Bce non procede in maniera analoga, potrebbe determinarsi il rischio di un deflusso di capitali dall’Europa verso gli Usa. Siamo sempre al tema della regolazione pubblica di questi fenomeni.