Matrimoni omosex e aborto in Irlanda del Nord, il voto all’ombra della Brexit
Giornata storica Westminster approva l’emendamento laburista che estende a Belfast le leggi britanniche, anche in materia di diritti civili. Il provvedimento entrerà in vigore entro tre mesi, quando Johnson promette il divorzio
Giornata storica Westminster approva l’emendamento laburista che estende a Belfast le leggi britanniche, anche in materia di diritti civili. Il provvedimento entrerà in vigore entro tre mesi, quando Johnson promette il divorzio
Per mesi il parlamento inglese si è avvitato sulla questione della Brexit, riservando alla vicina isola soltanto lo spazio di discussione sul confine tra le due Irlande. Nella seduta di martedì, invece, su input di un deputato laburista, una larghissima maggioranza di deputati di Westminster si è espressa positivamente sull’estensione all’Irlanda del Nord del diritto all’aborto e dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.
In assenza oramai da più di due anni a Belfast, di un governo misto in grado di legiferare su queste materie, per la gioia delle comunità Lgbt e degli attivisti per i diritti delle donne Londra ha scelto di prendere la palla al balzo e di sostituirsi alla latitante autorità nordirlandese.
L’Irlanda del Nord vive infatti il paradosso di essere sì parte del Regno Unito, e in quanto tale soggetta alle leggi britanniche, ma non per le materie relative alla devolution; e tra queste c’è la legislazione sui diritti civili.
LA DISPOSIZIONE passata in parlamento diverrà esecutiva entro tre mesi. Entrerà quindi a far parte dell’impianto legislativo per l’Irlanda del Nord a ottobre – ossia la data entro in cui Boris Johnson ha annunciato di voler ottenere la Brexit dall’Europa, con o senza accordo. Tuttavia, se entro ottobre il parlamento nordirlandese sarà in grado di formare il governo misto, quest’ultimo dovrà legiferare; e da qui nasce il retropensiero. Ma andiamo per ordine.
Date le alchimie parlamentari, il governo dovrà comprendere, come per la passata legislatura, rappresentanti dei due partiti principali, il Dup e Sinn Féin; e se i negoziati sono in stallo da un pezzo, parte dell’impasse riguarda proprio i diritti in questione. Gli unionisti sono da sempre contrari su entrambi i fronti, mentre Sinn Féin è disponibile – seppur con qualche distinguo che ha portato di recente a defezioni nel partito – ad allineare l’Irlanda del Nord al resto del Regno Unito in materia di diritti civili.
LA CONVERGENZA tra laburisti e conservatori a Westminster, che abbraccia di fatto le richieste di Sinn Féin, oltre a rispettare alcune sentenze della corte suprema, è vista con sospetto dal Dup, partito su cui si è retto il governo May, e a cui dicono di guardare anche i due contendenti per il suo ruolo di primo ministro e capo dei conservatori.
Membri del Dup hanno debitamente sottolineato che questa intromissione negli affari dell’Irlanda del Nord potrebbe finire per essere un assist lanciato a Sinn Féin, consentendogli nei fatti di ottenere da Londra quel che non era riuscito a ottenere nelle negoziazioni con loro. Il partito repubblicano sarebbe inoltre disincentivato a cercare un compromesso per la formazione del governo misto, essendosi già assicurato questo ottimo risultato.
Allora, se la decisione storica di Londra sembra voler rompere un’impasse che dura da mesi al fine di rendere omogenei i diritti per tutti i cittadini britannici, l’accelerazione pare anche nascondere differenti motivazioni, e stavolta tutte politiche, ma che possono leggersi in molti modi.
È infatti previsto dagli accordi internazionali che, in assenza di un governo misto, e quindi della devolution dei poteri, si torni in Irlanda del Nord al governo diretto di Londra, come fu negli anni più bui del conflitto.
Sostituirsi al governo assente su una materia tanto delicata come i diritti civili significa nei fatti non voler concedere più nulla allo stesso concetto di devolution. A Londra si temono infatti disgregazioni, dopo la volontà espressa dal partito di maggioranza in Scozia, lo Scottish National Party, di approfittare di una eventuale hard Brexit per agitare di nuovo il fantasma dell’indipendenza scozzese.
Ma un ritorno al governo diretto di Londra sarebbe anche un’arma in più anche in mano a Sinn Féin, forte della consapevolezza che in Irlanda del Nord alcuni sondaggi danno a intendere come, di fronte a possibili ricadute economiche devastanti, una maggioranza trasversale della popolazione potrebbe preferire l’unione con la Repubblica d’Irlanda anziché restare una costola distaccata del Regno Unito.
LO SCENARIO ancor più temuto dagli unionisti è che il ritorno de facto al governo centrale, nel contesto di una Brexit senza accordo, possa fare pienamente il gioco di Sinn Féin, che punta tutto su un referendum per la una riunificazione tra le due Irlande.
Serpeggia, infatti, tra gli unionisti, il sospetto che più persone nel Regno Unito vogliano liberarsi del costoso e riottoso fardello nordirlandese, il cui mantenimento all’interno della Gran Bretagna comporta tutta una serie di difficoltà, oltre a ostacoli quasi insormontabili che hanno a che fare con il fatidico confine tra Nord e Sud.
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