Materiali linguistici per varianti del sensibile
Poeti italiani Oggetti circondati da un’aura onirica e meditazioni fantastiche in «Fatti vivo» di Chandra Livia Candiani per Einaudi. Odissee del desiderio in«Altreamorose» di Luigi Trucillo per Quodlibet
Poeti italiani Oggetti circondati da un’aura onirica e meditazioni fantastiche in «Fatti vivo» di Chandra Livia Candiani per Einaudi. Odissee del desiderio in«Altreamorose» di Luigi Trucillo per Quodlibet
In un’epoca in cui il rumore e l’esteriorità sono modi d’essere e d’agire, la lingua della poesia ospita il silenzio, protegge il nascosto, difende l’invisibile. Dinanzi al già detto, al convenzionale, al senso comune, la poesia esplora forme di una lingua nuova e fa dell’immaginazione il suo abito, il suo stesso respiro. Lingua intensiva, che annoda il senso al suono, la poesia è memoria di presenze, costruzione di un nuovo tempo che sottrae all’oblio accadimenti e percezioni e presenze. Accoglie tutto l’arco dell’umano sentire, dal dolore al sogno, dall’angustia della finitudine alla libertà dell’invenzione. Per questo è in ascolto di tutte le forme del vivente.
Questa premessa mi aiuta a sostenere l’affermazione che segue: la poesia è prima delle sue definizioni, delle sue classificazioni, dei suoi schieramenti di tecnica e di poetica. Sperimentalismo o tradizione, antilirica o lirica, verso libero o chiuso, e persino prosa e poesia sono modi esteriori del poetico. Il quale può trascorrere nelle forme più varie oppure mancare anche nelle forme che scelgono il verso per dirsi. Per questo, dinanzi a un testo poetico ci si può disporre solo in stato di ascolto, o di interrogazione. Non giudicando e classificando, ma leggendo per lasciarsi trasportare nel tempo di una parola che crea mondi.
Nella lingua italiana la poesia ha avuto sempre una sua vitalità, affidata a forme plurali, a diversità di stili e di modi espressivi. Questa vitalità non si attenua, oggi. Ecco ora qui sul mio tavolo due recenti libri poetici che giungono da esperienze e storie diverse: Fatti vivo di Chandra Livia Candiani, (Einaudi, pp. 176, euro 13.50), e Altre amorose di Luigi Trucillo, (Quodlibet, pp. 168, euro 16,00).
I versi di Chandra Livia Candiani – ho vive in me le impressioni che hanno accompagnato la lettura dei precedenti libri – ospitano gli oggetti, la loro aura onirica, la loro anima, circondandoli di un sentimento del tempo e trasformandoli in presenze intime. Così in questo libro gli elementi di una casa – porta, pavimento, finestra, letto, cuscino, soffitto, mobili e infissi – si trasformano in sorgenti di un rammemorare che è anche un meditare, e si dislocano dalla loro immobilità verso il respiro della vita, dalla loro indifferenza verso un’appartenenza affettiva.
Così la natura, con il suo apparire in forme e in luci, è rivelazione mattutina – il mattino rinnovantesi della creazione – che si dischiude ogni volta allo sguardo. A uno sguardo che è di stupore e di preghiera, insieme. Il mostrarsi del mondo – del suo suono, del suo furore – è accolto in una parola che è insieme accoglimento dell’esistente e interrogazione di sé. Congiunzione possibile, perché c’è un altro sguardo che accompagna la vita delle cose, lo sguardo di una bambina che raccoglie nella sua meraviglia sapienza e sovversione, e segue, con silenzioso incantamento, lo svolgersi degli accadimenti interiori e la danza del visibile. La poesia è tutta in questa ospitalità che fa rifiorire quel che accoglie, oggetto o ricordo, presenza umana o animale. Tutto è animato: «C’è una tenerezza gigantesca /oggi/ negli alberi, /quanta scapigliata bellezza / oggi/ sotto vento». Anche dinanzi al male e dinanzi al dolore, come dinanzi all’amore, la lingua della poesia è ospitale. Perché riconosce in tutte le forme dell’esistente il segno fuggitivo dell’apparire, e fa del nome il testimone di una prossimità, del dire il suono di un meditare conoscitivo e fantastico.
Di Luigi Trucillo avevo letto altre raccolte poetiche, tra le quali Darwin, un libro che ha intonazioni epiche e insieme intime, e fa sentire il vento impetuoso e dolce di un dio che è natura (deus sive natura). Questo nuovo libro rinvia al precedente Le Amorose, uscito nel 2004 con una nota di Nadia Fusini, e per questo ha il titolo – consonante e insieme distante – di Altre amorose. Con una dizione narrativa e ragionativa, che ha balzi temporali e visivi, e inarcature meditative, si dispiega la presenza amorosa di un tu, punto di irradiazione di ogni particolare scenico, di ogni evocazione. Si susseguono i quadri di una sorta di sacra conversazione, in cui il dire coincide con il tessere i fili preziosi della prossimità.
Si tratta di un tu che è corpo, aria, velatura e trama del pensiero, materia del sogno e del ricordo, ma anche soglia da cui muove lo stesso sguardo sulle cose: un tu intimo perché assoluto, principio della parola d’amore che si dispiega come esperienza stessa del conoscere. Il paesaggio, il mare, il viaggio, il mito, i personaggi – Kavafis o Brecht o Gandhi – riconducono al «pensiero dominante», come è proprio della poesia d’amore, della sua tradizione. L’allocuzione e la descrizione si diramano in gesti e in figure, e s’intrecciano tra di loro. Trascorre nei versi un tema proprio del poeta: il rapporto tra la fisica della materia e la percezione dei corpi. Lo sventagliarsi del desiderio, la sua odissea, avviene nello spazio di una consapevolezza: quella di stare dentro il pulsare vivente di una natura che diviene: «… come tutto ciò che migra / verso la fluidità del sole / a volo di uccello / nell’ossigeno spazioso».
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