Materia oscura e dimensioni ignote
Ultramondi Un’intervista a Lisa Randall, fisica dell’università di Harvard, ospite il 21 aprile al Festival delle scienze di Roma. «Non ha senso fare esperimenti con l’intero pianeta Terra perché se qualcosa va storto siamo fritti»
Ultramondi Un’intervista a Lisa Randall, fisica dell’università di Harvard, ospite il 21 aprile al Festival delle scienze di Roma. «Non ha senso fare esperimenti con l’intero pianeta Terra perché se qualcosa va storto siamo fritti»
Prima della newyorkese Lisa Randall, nessuna donna aveva mai insegnato fisica teorica ad Harvard e a Princeton. Le sue ricerche, citate da decine di migliaia di altri scienziati, esplorano aspetti fondamentali della fisica, dalla «materia oscura» all’unificazione della meccanica quantistica e della gravità attraverso l’ipotesi che l’universo contenga dimensioni ulteriori oltre allo spazio e al tempo. Ma nella sua carriera si è occupata anche dell’estinzione dei dinosauri. Proverà a raccontarlo al Festival delle Scienze di Roma, dove interverrà venerdì 21. «Parlerò del fatto che diverse leggi della fisica si applicano a scale diverse, di come cerchiamo la nuova fisica, degli esperimenti all’acceleratore Lhc del Cern e della materia oscura» spiega dal suo studio di Boston al manifesto.
Gli ultimi esperimenti per cercare le particelle dette «Wimp» di cui potrebbe essere costituita la materia oscura sono falliti. Vale la pena cercare ancora?
Cercare la materia oscura e cercare le particelle Wimp non è la stessa cosa. Le Wimp sono solo una delle possibilità, la più facile da esaminare perché, in teoria, è quella che interagisce di più con la materia ordinaria. Ma non c’è alcuna ragione particolare per cui la materia oscura sia composta da particelle Wimp. Un giorno potremmo scoprire che si tratti di particelle del tutto diverse. Infatti lavoriamo a molte altre possibilità.
In Europa e in Cina si pensa a costruire nuovi mega-acceleratori per trovare la «nuova fisica» e chiarire il mistero della materia oscura. Al Cern è in fase di progettazione il Future Circular Collider, un acceleratore lungo 100 chilometri. È la direzione giusta?
Credo di sì. I prossimi acceleratori potrebbero raggiungere le energie necessarie per trovare la «nuova fisica» e io sono in cerca di modelli che potrebbero descriverla. Per un fisico teorico, ipotizzare che una particella abbia una certa massa o il doppio non così importante. Ma dal punto di vista sperimentale c’è differenza tra osservare una particella o no.
Vale davvero la pena programmare la costruzione di nuovi acceleratori che richiederanno decenni di lavoro e decine di miliardi di euro?
Quando fu costruito Lhc eravamo abbastanza certi dell’esistenza del bosone di Higgs, perché non c’erano molte altre spiegazioni possibili. Scoprire qualcosa che abbiamo già teorizzato è un grande risultato per i fisici delle particelle. Ma da un certo punto di vista è noioso perché non indica nuovi obiettivi. Non sappiamo ancora perché il bosone abbia quella massa, e sto lavorando all’ipotesi che altre dimensioni aiutino a capirlo. Se si arriva a energie di 100 tera-elettronvolt ci sono più possibilità rispetto a 30 tera-elettronvolt. Osservare una nuova particella sarebbe davvero importante. Penso che le persone se ne interesserebbero. Certo, si tratta di qualcosa molto astratto. Ma se si pensa all’attenzione generata dal bosone di Higgs, che pochi hanno capito davvero, immaginiamo cosa succederebbe se scoprissimo una nuova dimensione.
Prima di investire così tante risorse bisognerà convincere la società in cui a volte sembra diffondersi un sentimento anti-scientifico.
Dobbiamo essere cauti nel dire che ci esista un tale sentimento. C’è anche una maggioranza decisamente favorevole alla scienza che semplicemente ha di meglio da fare piuttosto che farsi sentire. Non credo che il mondo sia così affezionato all’anti-scienza come può sembrare.
Un’altra obiezione arriva dalla stessa comunità scientifica: qualcuno ritiene che ci siano emergenze più importanti a cui dedicare tempo e risorse. C’è ancora bisogno di ricerca sul clima o ormai è una questione solo politica?
Non è solo una questione politica o scientifica. C’è un interesse economico e credo che vada detto chiaramente. È quest’ultimo a controllare quello che facciamo o non facciamo. È evidente che il cambiamento climatico sia in corso. Basta guardare ai ghiacciai, che oggi improvvisamente spariscono. E ci sono sufficienti prove che tutto ciò sia stato causato dall’esser umano. La domanda difficile riguarda «quando» ne vedremo gli effetti (non certo «se») ed è giusto che gli scienziati perfezionino i modelli climatici. Allo stesso tempo, abbiamo già abbastanza prove per non aspettare oltre prima di agire. Non ha senso fare esperimenti con l’intero pianeta Terra perché se qualcosa va storto siamo fritti. Non credo però che si debba smettere di applicarsi alla scienza fondamentale. Gli studiosi sono tanti: non è necessario che facciano tutti la stessa cosa.
Molti, anche tra i fisici, in questi anni si sono dedicati ad affrontare la pandemia. Come giudica il ruolo degli scienziati nella lotta al Covid?
Senza di loro, sarebbero morte molte più persone. Quando all’inizio si parlava di un vaccino, io non pensavo fosse possibile realizzarlo così rapidamente. Ha cambiato tutto. È quello che ci ha permesso di tornare a muoverci liberamente. Certo non tutto è stato fatto al meglio, c’erano molte incertezze e sono stati compiuti errori, ma in generale è stato fatto un buon lavoro. E anche i politici: se ci avessero detto dieci anni fa che avremmo chiuso le attività economico e istituto con un lockdown, sarebbe sembrato impossibile. Sono preoccupata perché la prossima volta tutto ciò potrebbe non ripetersi, viste le resistenze che già si sono manifestate.
A proposito di catastrofi: il suo ultimo libro è dedicato all’estinzione dei dinosauri. È stata davvero la materia oscura a provocarne l’estinzione?
Non credo in nessun modello in assoluto: penso che ce ne possa essere uno corretto con maggiore o minore probabilità. Questo è il modo in cui lavora chi fa scienza: osserviamo eventi improbabili e cerchiamo buone idee che si estendano al di là di ciò che abbiamo già visto. L’idea è emersa discutendo con il fisico Paul Davies. Avevo letto uno studio con simulazioni interessanti sulla possibilità di un disco asimmetrico di materia oscura e ho voluto esplorare questa ipotesi. L’ho raccontato per spiegare cosa significhi affrontare un problema difficile con un approccio scientifico.
SCHEDA
Oltre 200 conferenze, laboratori, spettacoli e mostre animeranno l’edizione di quest’anno del Festival delle scienze di Roma, dedicata agli «Immaginari» (dal 18 al 23 aprile all’Auditorium di Roma). Molti degli ospiti indagheranno la frontiera tra scienza e altri linguaggi con cui raccontare la realtà. Il fisico Giorgio Parisi e l’architetto Massimiliano Fuksas si confronteranno sulle «Ispirazioni» (martedì 18). Lo scrittore Paolo Giordano affronterà il tema della crisi già al centro del suo ultimo «Tasmania» insieme alla giornalista Silvia Bencivelli (20 aprile). Il compositore Richard Mainwaring (sabato 22) mostrerà come onde e frequenze siano alla base della musica, dei canti delle balene ma anche delle vibrazioni dei grattacieli. A cavallo tra fisica e filosofia si muoverà l’inglese Julian Barbour, secondo cui «le relazioni più elementari alla base della matematica giocano un ruolo altrettanto importante in tutte le forme artistiche» (domenica 23). La sera del 23, conferenza-spettacolo con il coordinatore scientifico Michele Bellone, Lucrezia Ercoli (Popsophia) e l’astrofisica e autrice di best-seller Licia Troisi.
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