La gestazione del primo governo compiutamente di destra, senza più velleità centriste, è stata breve, intensa e travagliata. Quel travaglio, però, non si è mai librato al di sopra della pura sfida di potere, dei duelli sul manuale Cencelli riveduto e corretto. Nel giorno «dell’orgoglio e della responsabilità» il livello delle fibrillazioni non s’innalza. Sempre questione di potere, di deleghe e sottosegretariati, rimane.

Matteo Salvini, che non ha mai avuto ben chiara la distinzione tra un dicastero e un palco da comizio, contava sulla gestione dei fondi del Pnrr per restaurare l’ammaccata immagine. Giorgia la Prima Donna lo ha sgambettato facendo scivolare parte sostanziosa di quei fondi nelle mani di Raffaele Fitto, con la delega al Pnrr, e il Capitano non ha gradito la sorpresa. Non che sia tagliato fuori dal prevedibile show delle Grandi opere ma dovrà dividere il palco e contendere il potere decisionale con Fitto.

In compenso il nuovo ministro delle Infrastrutture dovrebbe riuscire a tenersi stretto il controllo sui porti, altro strumento di potenziale propaganda prezioso. Se l’immigrazione dovesse scalare di nuovo la classifica delle paure degli italiani, Salvini ha già dimostrato sin troppo in abbondanza di saper usare il controllo su porti e sbarchi per occupare l’intera scena. Nello Musumeci, ministro delle Politiche del mare oltre che del Sud, non concorda con questa ripartizione dei poteri ma il Codice della Navigazione, art. 33, conforta il leader leghista e si può scommettere che farà fuoco e fiamme per impedire che venga modificato.

Sui sottosegretariati la tensione è doppia: con i centristi rimasti all’asciutto nella squadra di governo e con la solita Fi, perché lo sconfitto di Arcore non ha rinunciato a mettere il piedino nella Giustizia o nel Mise. Il progetto iniziale della premier era dividere i sottosegretariati in un terzo per ciascuna delle principali forze di governo. Sbatte però con le attese fameliche dei centristi, che si aspettano cospicuo risarcimento, e con quelle di Fi, che pretende di avere voce in capitolo nei dicasteri che sono stati negati al partito azzurro.

Prima o poi, però, il governo e la maggioranza dovranno decidersi a passare dal gioco delle poltrone ai conti con una realtà drammatica. Il primo scoglio potrebbe essere la riforma delle pensioni perché, senza intervento tempestivo, il primo gennaio rientrerà in completo vigore la Fornero e per Salvini sarebbe da suicidio. Qui però una soluzione si troverà perché il ripristino dell’odiata riforma del governo Monti farebbe perdere la faccia non solo alla Lega ma all’intero centrodestra.

Subito dopo, se non subito prima essendo sul tavolo una legge di bilancio da varare col fiato sul collo, arriverà il turno dello scostamento di bilancio. In inverno si avvertiranno in pieno gli effetti della crisi e senza fare nuovo debito fronteggiarla, anche solo per mitigarne la ferocia, sarà molto difficile. Salvini è pronto a tornare alla carica e Confindustria gli darà man forte. Una premier in cerca di legittimazione a Bruxelles e Francoforte vuole evitare il doloroso passo a ogni costo. Se non arriverà in provvidenziale soccorso l’Europa a novembre le scintille saranno assicurate.

Altrettanto nevralgico il capitolo Autonomia differenziata. Le regioni del nord, più che mai azioniste di maggioranza del Carroccio, sono a un passo dal perdere la pazienza. Ora che il governo è stato saldamente conquistato la reclamano senza rinvii, contano sul mago Calderoli alle Regioni per concludere presto. La cultura di FdI, però, tutto è tranne che federalista senza contare che i Fratelli devono tenere in alta considerazione interessi e aspettative della massa di elettori che li ha votati al Sud.

La politica estera potrebbe riservare amare sorprese ma non per lo scambio di messaggi sdolcinati tra il sovrano d’Arcore e lo zar di Mosca. Tutti nel governo si professano «atlantisti ed europeisti». Il problema è che atlantismo ed europeismo non si possono affatto giustapporre e se gli interessi, già solo in parte coincidenti, dovessero divaricarsi la premier spingerebbe in direzione dell’asse Usa-Uk-Europa dell’est, Fi in quella dei Paesi occidentali e di Bruxelles. Tra tutti i guai possibili sarebbe il più grosso di tutti.