Visioni

Mastroianni e quelle lezioni sul palcoscenico

Mastroianni e quelle lezioni sul palcoscenicoMarcello Mastroianni – foto Ansa

A teatro Nel centenario dalla nascita del grande attore, uno sguardo sulla sua straordinaria carriera anche a livello teatrale

Pubblicato circa un mese faEdizione del 28 settembre 2024

Molti hanno ricordato in questi giorni il centenario della nascita di Marcello Mastroianni, a Isola Liri in Ciociaria, il 26 settembre del 1924. E su di lui e sulla straordinaria serie di film che ne hanno fatto un mito mondiale, per fascino e bravura, sempre al fianco delle donne più belle del mondo, in film che racchiudono la miglior storia del cinema, e non solo italiano. Pochi hanno ricordato la sua, davvero straordinaria anch’essa, carriera teatrale, dal debutto con la «compagnia del teatro italiano» (che nel dopoguerra e fin quasi ai ’60 diretta e quasi sempre con i grandi classici di ogni epoca, grazie a Luchino Visconti). Nel frattempo venne il cinema, e quindi la serie di titoli da sogno che tutti hanno citato avendo solo l’imbarazzo della scelta. Parallela e proporzionale però a quella che lo stesso «Marcellone» (come a Roma amavano chiamarlo) suscitava e corrispondeva con le donne più belle e fascinose degli schermi mondiali.
In realtà il teatro, per un attore non solo serissimo in palcoscenico, ma pieno di cultura e di interessi, ha continuato fino alla fine a dominare il suo interesse e la sua caparbia «curiosità». Di testi, di regie, di partner femminili: una storia infinita, anche perché quelle fascinazioni resistevano oltre il tempo della loro forma «pubblica». Quasi come quella del teatro, mai sopita, e che lo vedeva sempre pronto a riprenderla e viverla, ogni sera, su ogni palcoscenico.

PUR DIRADATI, i suoi appuntamenti con la scena hanno continuato fino all’ultimo a richiamarlo e a farlo impegnare, fiero e contento del «successo» ottenuto ogni sera (non solo il successo, ma una vera fascinazione totale che con una platea anche di mille persone lì di fronte a lui, reciprocamente si scatenava).
Nel 1966 aveva ceduto alle insistenze di Garinei e Giovannini, per l’ennesimo trionfo: Ciao Rudy, omaggio al grande Valentino (e magari qualche rischio di identificazione in quel mitico seduttore in bianco e nero). E a fargli corona tutte i prototipi femminili, dalla Carrà a Giusi Raspani Dandolo, dalla Borboni alla Pitagora, dalla Lojodice a Ilaria Occhini. Negli anni 80 un testo brillante francese, Cin cin, ma con regia di Peter Brook e sua moglie Natasha Perry come partner. E poco dopo la Pianola meccanica, tratta da Cechov con la regia di Michalkov con il quale veniva dall’aver girato Oci ciornie.

NEL’ 95 l’ultima apparizione: Le ultime lune, un testo sulla vecchiaia e i suoi fantasmi, scritta da Furio Bordon, prodotta dal Teatro Goldoni di Venezia con la regia di Giulio Bosetti. Testo amaro, triste e malinconico. Di grande successo, tanto che l’anno dopo venne ripreso, una grande tournée, ma a Parigi, provato e allo stremo, in quel 1996 muore il mito.
Se è lecito un ricordo personale di chi scrive, l’anno prima, alla vigilia del debutto di quelle Lune, avevo avuto modo di conoscerlo alla conferenza stampa. Al termine gli avevo chiesto una dichiarazione per la radio, e lui si era lasciato molto intrigare, dall’argomento e dai suoi ricordi. Poco dopo cominciarono ad avvicinarsi altri colleghi, che non esitavano a fare domande sovrapposte. Mi guardò con uno sguardo d’intesa, voleva continuare a parlar di teatro. Mi disse di seguirlo, e cominciammo a correre affannati per scale e pertugi del Goldoni. Finché trovò la porta di una stanzetta dentro la quale, chiusi a chiave e assediati, continuò a chiedere, e dare ovviamente, informazioni sul teatro, la sua essenza, i suoi strumenti e i suoi valori. Unica «battuta» privata, sulle molte attrici sue compagne di lavoro e innamorate: «Che devo dire, hanno fatto tutto loro…». Una grande lezione di umanità teatrale, talmente fascinosa che non pensai neanche per un momento a registrarla. Resta solo il ricordo, e il suo privilegio.

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