Cultura

Mast a Bologna, il lavoro è una visione d’artista

Mast a Bologna, il lavoro è una visione d’artista

MOSTRE Lavoro in movimento. Lo sguardo della videocamera sul comportamento sociale e economico, ospitata al Mast di Bologna fino al 17 aprile

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 4 marzo 2017

La robotica, la produzione artigianale e quella dei servizi high-tech, la finanza internazionale e i luoghi del potere: sono questi i temi delle opere video raccolte nella collettiva Lavoro in movimento. Lo sguardo della videocamera sul comportamento sociale e economico, ospitata al Mast di Bologna fino al 17 aprile. Poche le scoperte, tante le conferme nella mappatura compiuta dal curatore Urs Stahel che ha selezionato le opere di quattordici artisti internazionali.

Labour in a Single Shot di Harun Farocki / Antje Ehmann è una videoinstallazione composta da circa 90 filmati della durata di 2 minuti, girati con un unico piano sequenza, che riprendono il lavoro formale e informale svolto per strada, in fabbrica o nelle abitazioni private in quindici città internazionali, in collaborazione con operatori e filmmaker locali. Nell’opera di Farocki l’analisi delle forme di produzione e lo statuto dell’immagine in movimento hanno sempre dialogato con la riflessione sulla macchina-cinema, a sua volta fonte di lavoro. Emblematica a questo proposito è la sua videoinstallazione Workers Leaving the Factory in Eleven Decades in cui partendo dal primo film girato dai fratelli Lumière, La Sortie de l’usine Lumière à Lyon (1895), individua scene simili presenti in film di registi internazionali. Per Labour in a Single Shot Farocki e Ehmann si sono ispirati a quel film girato agli albori della storia del cinema.

PIETER HUGO, con il video e il reportage fotografico Permanent Error ci porta in un solo luogo, denso di significati e implicazione socio-economiche, nella più grande discarica di e-waste (rifiuti elettronici) dell’Africa, che si trova nella periferia di Accra, in Ghana. Computer usati, televisori, frigoriferi e altri rifiuti tecnologici, provenienti in gran parte da Europa e Stati Uniti, vengono ammassati, classificati e smembrati per estrarne rame, oro, alluminio, ferro.
I ritratti di Ibrahim Sulley, Mohammed Musam, Abdulai Yahaya e di altri lavoratori della discarica sono scattati in questo scenario distopici, tra vapori e miasmi tossici.

È invece un luogo di spettri la fabbrica di Taiwan in cui Chen Chieh-jen ha girato Factory. Nel video vediamo le ex-operaie dell’industria di abbigliamento Lien Fu reinterpretare il loro (perduto) lavoro, visto che la fabbrica è stata chiusa perchè la produzione è stata delocalizzata verso zone in cui la retribuzione è inferiore. Factory è una sorta di re-enactment, una pièce teatrale muta, messa in scena tra gli oggetti abbandonati dopo la chiusura della fabbrica.

I DOCUMENTARI di Yuri Ancarani ci portano invece in diversi luoghi d’Italia. Nelle Alpi Apuane, per seguire gli scavatori delle cave di marmo di Carrara, nel dipartimento di chirurgia robotica di Pisa, dove un chirurgo compie un’operazione comandando i bracci robotici di da Vinci, il più evoluto sistema robotico per la chirurgia mininvasiva, e nella camera iperbarica in cui vivono i sommozzatori che lavorano nel Mar Ionio nella piattaforma marina «Luna» per estrarre gas metano.

Il turco Ali Kazma è entrato negli stabilimenti delle officine Alessi e in quelle dell’Audi, mentre Eva Leitolf si occupa del rapporto che lega la fabbrica della Volkswagen con Wolfsburg, dove hanno sede gli stabilimenti. Flocking di Armin Linke, si occupa invece dello studio delle traiettorie degli uccelli quando volano insieme. I dati risultanti dalle immagini non interessano solo la comunità scientifica, il video è stato realizzato con il Centro per la Meccanica Statistica della Sapienza di Roma e lo ZKM di Karlsruhe, ma anche gli economisti e i sociologi, perché è una restituzione poetica dei sistemi sociali complessi e delle strutture auto-organizzate.

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