Mikhail Maslennikov, Oxsfam

Mikhail Maslennikov, autore del rapporto Oxfam «La disuguaglianza non conosce crisi», in Italia il 5% della popolazione ha una ricchezza superiore all’80% più povero. Sa se il governo Meloni farà qualcosa per correggere una situazione simile, magari usando la leva fiscale?
Non ci aspettiamo purtroppo interventi che rafforzino la funzione redistributiva della leva fiscale e che recuperino l’equità del prelievo. Simili orientamenti non sono nel Dna di una maggioranza del genere. Nessuno si faccia illusioni.

Maggioranze di segno diverso non hanno manifestato una volontà di maggiore giustizia fiscale. Come lo spiega?
I tanti governi che si sono succeduti hanno trasformato il nostro sistema fiscale in un fisco à la carte. Interventi che hanno favorito l’esenzione da tassazione per alcuni redditi o hanno introdotto regimi cedolari di favore come quelli sui redditi da locazione, sulle rendite finanziarie o sui redditi da lavoro autonomo. Creando trattamenti fiscali differenziati tra contribuenti nelle stesse condizioni economiche ma con redditi di natura diversa. Il governo Meloni continua imperterrito su questa strada ampliando il regime di Flat tax per le partite Iva che rischia di diventare il regime naturale per tre quarti dei professionisti e delle imprese individuali.

Di cosa ci sarebbe bisogno?
Di una redistribuzione complessiva dei carichi fiscali tra diverse basi imponibili spostando la tassazione dal lavoro verso i profitti, interessi e rendite. Ma su questo non si vede purtroppo alcun cenno di discussione. Vige piuttosto la suggestione per cui le imposte devono diminuire per tutti e non possono aumentare per qualcuno. Ad esempio per quel 5% dei percettori di redditi più elevati che già oggi versa un’aliquota totale effettiva inferiore a quella che grava sui contribuenti con redditi più bassi.

Perché il governo ha incentivato comportamenti opportunistici con dodici condoni fiscali contenuti nella legge di bilancio?
Sono misure che sviliscono la fedeltà fiscale, esasperano comportamenti da azzardo morale tra i contribuenti e impattano negativamente sulla propensione all’adempimento. Questi interventi sono stati giustificati con la necessità di supportare cittadini in difficoltà con i pagamenti. Ma non è stata prevista alcuna analisi dei profili di difficoltà oggettiva da parte di chi è indebitato con l’erario. Avremmo invece bisogno di una robusta lotta all’evasione fiscale a partire da quella dell’Iva con consenso. Per farlo servirebbe in primo luogo potenziare l’attività di analisi del rischio fiscale e di controllo dell’Agenzia delle entrate con il pieno utilizzo dei dati che affluiscono al sistema informativo dell’anagrafe tributaria.

Crollano i salari, mentre la povertà cresce. In questa situazione il governo taglierà il «reddito di cittadinanza» a 660 mila «occupabili» nel 2023. Per il 2024 ha annunciato una «riforma». Che effetto avranno queste decisioni?
Quello che è sicuro è che per 4 mesi, da agosto a dicembre, l’Italia non avrà una misura universale di contrasto della povertà. Da gennaio a luglio il governo scommette che gli «occupabili» riusciranno a passare alla condizione di occupati con percorsi di riqualificazione professionale e avvicinamento al mercato del lavoro. Ma questo è molto difficile che accada a single, coppie senza figli o persone con basse qualifiche che vivono in regioni con scarsa domanda di lavoro. E sono questi i profili degli «occupabili» su cui si è abbattuta la scure del governo.

Qual è la filosofia che ispira Meloni e il suo governo?
Quella del povero abile al lavoro non meritevole di supporto pubblico. Si torna a una misura categoriale della povertà, sottovalutando il contesto socioeconomico in cui sono i poveri sono inseriti. E si trascurano l’inefficienza o le carenze delle politiche pubbliche come le politiche attive del lavoro o quelle di conciliazione. È un approccio nel solco della lunga resistenza a interpretate il reddito come un diritto e a favorire misure universalistiche che garantiscano tutele a tutti purché in condizioni di bisogno.

In più Meloni ha escluso l’istituzione di un salario minimo e ha reintrodotto i voucher…
Gli interventi e gli intendimenti del suo governo sono un pessimo viatico per il contrasto al lavoro povero che ha un’amplissima diffusione in Italia. Il salario minimo legale è uno strumento importante per garantire minimi salariali adeguati. Ma il governo lo osteggia invocando pericoli di aumento della disoccupazione e di perdita di competitività per le imprese italiane. Posizioni smentite dalla moderna ricerca socio-economica. Invece di rendere il lavoro atipico più costoso, l’esecutivo insiste con ulteriore liberalizzazione dei voucher e misure di maggiore flessibilizzazione. Misure che hanno contribuito a polarizzare il nostro mercato del lavoro ampliando il segmento di lavoratori intrappolati nella precarietà del part-time involontario e dei contratti di breve durata con basse retribuzioni e tutele. In Spagna, con un governo progressista, si sta facendo tutto il contrario.