Masini: «Prima si scendeva in piazza ora si urla sui social…»
Sanremo Tra i ritorni festivalieri anche quello del cantante toscano: «In molti si sono stupiti delle sonorità electro di questo mio brano ma io nasco musicalmente negli ’80 dove, grazie a gruppi come gli Human League, io e la mia generazione abbiamo imparato a sincronizzare basso e batteria elettronica».
Sanremo Tra i ritorni festivalieri anche quello del cantante toscano: «In molti si sono stupiti delle sonorità electro di questo mio brano ma io nasco musicalmente negli ’80 dove, grazie a gruppi come gli Human League, io e la mia generazione abbiamo imparato a sincronizzare basso e batteria elettronica».
«I concetti cambiano nel corso di tre decenni: la morale è diversa, la vita ci ha cambiati ed è impossibile rimanere uguali ma non ho mai smesso di cercare nuovi modalità per raccontare storie» Esordisce così Marco Masini, riassumendo, in una breve frase «manifesto», trent’anni di carriera culminati con la partecipazione in questi giorni al Festival di Sanremo. Spostato di un secondo, questo il titolo del brano presentato che lancia l’omonimo album in uscita oggi, è pura introspezione in forma di «elettrobiografia», sonorità quasi inedite per l’urlatore che conosciamo: «In molti si sono stupiti delle sonorità electro di questo mio brano ma io nasco musicalmente negli ’80 dove, grazie a gruppi come gli Human League, io e la mia generazione abbiamo imparato a sincronizzare basso e batteria elettronica. Il brano è l’esempio perfetto di questa mia nuova fase di ricerca: ha una strofa serrata che poi si apre in un inciso molto melodico».
Non cambia però il consueto lucido storytelling ormai cristallizzato da tempo, fin dai successi negli anni ’90 dove Masini riuscì a captare, come pochi, un profondo smarrimento esistenziale: «Nell’epoca pre e post Tangentopoli, ho cercato di raccontare la mia generazione sconvolta dalla perdita improvvisa di ideologie, bandiere e partiti. Ci siamo sentiti ’perduti’ in pochi minuti perché non eravamo abituati a un crollo così improvviso ma anche perché, forse, non c’era l’immediatezza del modo di comunicare di oggi. Allora si scendeva in piazza mentre ora il disagio contemporaneo si urla sui social e persino parecchi ’capitani’ guidano la propria ciurma dal telefonino, anche nei partiti, una cosa inconcepibile per me, abituato a un diverso tipo di aggregazione».
Decisamente «politica» anche la scelta della cover, presentata ieri sera, Signor Tenente di Giorgio Faletti: «Oltre ad aver conosciuto e frequentato Giorgio per parecchio tempo, la scelta di questa canzone è dovuta sia alla sua straordinaria modernità sia al fatto che purtroppo non la si sente mai in radio o nei falò sulle spiagge. Quel pezzo appartiene a un altro momento storico ma le paure sono sempre le stesse. Sono rimasto fedele ai suoi punti più riconoscibili, ma ho raddoppiato i bpm, rovesciando la beguine originaria, cantando in italiano e non con l’accento siciliano».
Un altro ricordo è dedicato a Giancarlo Bigazzi, straordinaria figura musicale che negli anni ’90 creò una sorta di clan fiorentino che includeva, oltre a Masini, Raf, Danilo Amerio e Paolo Vallesi: «Giancarlo era un genio e dunque non poteva lasciarmi un’eredità bensì un ’sistema’, una scuola. Oggi, lavorando con altri autori, mi accorgo dell’importanza del suo insegnamento nel taglio delle canzoni, nella sintesi del testo. Quando trovo il concetto per una nuova composizione, mi piace unire lo stato brado del cantautorato ’in cattività’ alle regole ferree del pop e della melodia italiana. È questo è stata la grande lezione di Bigazzi».
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