L’obbligo di indossare mascherine anche all’aperto è stato un memento homo, per ricordare visivamente a tutti l’emergenza in corso? Da un lato, vari studi e situazioni empiriche dimostrano che il rischio virale all’aperto è bassissimo, dall’altro nazioni che fin dall’inizio hanno imposto per decreto la «protezione delle vie respiratorie» anche outdoor hanno avuto elevatissime mortalità riferite a Covid-19: un caso da studiare è la Repubblica ceca. Ma l’emergenza non è risolta nella stessa Cuba (che ha una bassa mortalità grazie alle cure tempestive), dove l’obbligo anche fuori vige da oltre un anno, con le persone che lo rispettano senza farsi pregare malgrado il clima caldo umido asfissiante.
Nell’ottobre 2020, alla vigilia dell’imposizione governativa anche in Italia del porto di mascherina in esterni, un gruppo di specialisti (epidemiologi, medici di medicina preventiva e igiene, allergologi, direttori sanitari) scriveva la lettera aperta «Mascherine obbligatorie all’aperto? Non ci sono i presupposti scientifici».

Gli autori, richiamando l’assenza di dibattito scientifico in materia, sconsigliavano «di norma l’uso di mascherine all’aperto, salvo per brevi periodi dove sia inevitabile restare a meno di un metro da altri per tempi non trascurabili», mentre «l’avvicinamento fugace all’aperto di un soggetto anche infetto non configura rischi particolari». Proseguiva la lettera: «Oltre agli effetti protettivi delle maschere, indiscutibili in condizioni di alto rischio, l’Oms indica 11 potenziali danni o svantaggi, ma non segnala quello che può essere il maggiore, a carico di infetti da Sars-CoV-2 non di rado inconsapevoli, perché a-/pre-o pauci-sintomatici. Infatti la resistenza all’espirazione di una maschera tenuta a lungo aumenta la ri-inalazione dei propri virus, in un circolo vizioso che aumenta la carica, la quale può così raggiungere gli alveoli, dove le difese immunitarie innate sono carenti. Lì il virus si può moltiplicare molto e quando, a 10-12 giorni dall’infezione, arrivano gli anticorpi delle difese adattative, trovando grandi quantità di virus scatenano una violenta infiammazione e possono aggravare la Covid-19».

Tuttavia il Dpcm del 13 ottobre 2020 introduceva l’obbligo offrendo solo una parzialissima eccezione: «I casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi». In diverse città, comunque, le forze dell’ordine si mostravano indulgenti nei confronti di persone prive di mascherina ma dotate di senso civico. Era inoltre esonerata l’attività sportiva: a la camminata veloce non è forse un esercizio fisico salutare?

L’ordinanza del 22 giugno 2021 del ministero della salute stabilisce che, a partire dal 28 giugno 2021 nelle «zone bianche cessa l’obbligo di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie negli spazi all’aperto, fatta eccezione per le situazioni in cui non possa essere garantito il distanziamento interpersonale o si configurino assembramenti o affollamenti». Eppure in certe città, molte persone di ogni età continuano a tenere su naso e bocca la mascherina chirurgica o Ffp2, anziché averla a disposizione in tasca o in borsa. Abitudine? Panico? Informazioni confuse visto che in passato si intimava di non toccare il dispositivo se non per buttarlo via alla fine delle otto ore?

Uno degli autori della suindicata lettera di ottobre, il dottor Alberto Donzelli della Fondazione Allineare sanità e salute, già direttore sanitario e membro del Consiglio superiore di sanità, ricorda l’effetto di diluizione prodotto dall’«enorme quantità di metri cubi di aria all’aperto» e spiega anche: «L’immunità innata svolge un ruolo cruciale per prevenire la diffusione dei patogeni nell’organismo. La sua efficacia dipende molto dalla carica virale. Se le maschere facciali creano un ambiente umido in cui il virus può restare attivo per il vapore acqueo fornito di continuo dalla respirazione e catturato dal tessuto, causano un aumento della carica virale e possono far superare le difese dell’immunità innata. (…). All’aperto il bilancio netto delle maschere sembra sfavorevole (…). Per chi lavora in spazi chiusi con insufficiente ricambio d’aria ed è tenuto a indossare mascherine, può essere ragionevole prevedere pause con respirazione libera all’aperto». E che dire dei lavoratori stradali o di quelli sotto le serre, che aggiungevano alla fatica di attività pesanti e al caldo, quella del dispositivo facciale?

Prosegue Donzelli: «In sanità pubblica, un provvedimento per essere adatto deve dare prove di benefici superiori ai rischi, efficacia, sicurezza a medio e lungo termine. Per l’obbligo di mascherina all’aperto, queste condizioni non sono soddisfatte». Inoltre «in uno studio danese, chi faceva parte del gruppo al quale era richiesta la mascherina aveva ridotto notevolmente, nel mese di controllo, l’attività fisica». Eppure la sedentarietà, «che favorisce cardiopatie, obesità, broncopneumopatie» è un fattore chiave nella mortalità. Anche quella in presenza del virus Sars-CoV-2.