La sentenza del Tribunale di Bologna che ieri ha condannato la Germania a risarcire i familiari delle vittime della strage di Monte Sole-Marzabotto perpetrata dalle Waffen SS nei giorni 29 settembre-5 ottobre 1944 (800 persone assassinate) segna un passaggio di rilevanza giuridica rispetto alla cosiddetta «immunità degli Stati». Al contempo solleva questioni che si intersecano in quel complesso rapporto tra passato e presente che ha informato l’identità europea dapprima al termine della Seconda Guerra Mondiale e poi con la fine della Guerra Fredda.

Il 28 dicembre 2019 i familiari delle vittime e i sopravvissuti delle stragi di Mommio, Padule di Fucecchio, Grizzana, Marzabotto, Monzuno e Cefalonia pubblicarono un appello rivendicando il diritto ad avviare una causa civile di risarcimento contro lo Stato tedesco e chiedendo il sostegno delle istituzioni italiane nella loro azione. Nonostante la sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 2014 avesse già reso illegittima la precedente pronuncia della Corte dell’Aja del 2012 che stabiliva l’immunità per la Germania, l’Italia non appoggiò i propri cittadini ma al contrario attivò l’Avvocatura dello Stato in favore di Berlino contro i familiari delle vittime delle stragi.

Significativo fu l’intervento di Lido Lazzerini, a nome ed in rappresentanza di tutti i firmatari dell’appello.
Lido Lazzerini, sopravvissuto alla strage nazista di Mommio del 4-5 maggio 1944, intervenne nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2020 a Firenze e rivendicò il diritto ai risarcimenti e al riconoscimento delle responsabilità dello Stato tedesco sollevando, inoltre, il controverso tema del debito di guerra della Germania che, dopo gli accordi di Londra del 1953 e la «rinuncia volontaria» di 20 Paesi ai propri crediti, venne congelato.

Il trattato di Londra del 27 febbraio 1953 non solo ridusse del 50% il debito (portandolo a 15 miliardi di marchi pagabili in oltre 30 anni) che la Germania Ovest avrebbe dovuto rimborsare agli Stati aggrediti dalla Wehrmacht ma vi applicò una sospensione dei pagamenti stabilendo che essi avrebbero avuto corso solo dopo l’eventuale riunificazione tedesca.
I fattori storici emersi dalla seconda transizione tedesca dopo la fine della Guerra Fredda ridefinirono il caso della Germania che, non più divisa e posta di fronte ad una dispendiosa riunificazione, vide i suoi debiti quasi del tutto cancellati e definitivamente liquidati con il pagamento dell’ultima rata il 3 ottobre 2010.

Nel novembre 2019 il comune di Roccaraso (dove i nazisti il 21 novembre 1943 uccisero 128 persone) iscrisse un’ipoteca da 1,7 milioni di euro su alcuni terreni di proprietà della Germania in provincia di Como in ragione dei mancati risarcimenti per l’eccidio. La questione degli indennizzi tedeschi ai Paesi invasi e distrutti durante la Seconda guerra mondiale (tra cui 100 miliardi di euro all’Italia e 300 miliardi alla Grecia) tornava materia di discussione internazionale.
La sentenza di ieri manifesta, di nuovo, quel conflitto spesso irriducibile tra le ragioni della storia e del diritto alla giustizia da un lato ed il cinismo della realpolitik dall’altro.

Dopo la Seconda guerra mondiale i motivi del silenzio intorno alle stragi nazifasciste poggiarono sulle necessità geopolitiche della Guerra Fredda e dell’anticomunismo di Stato.
Italia e Germania ovest furono riarmate e reinserite nella Nato e l’impunità per i crimini di guerra divenne un fattore decisivo per la ricostruzione di eserciti e Stati che avrebbero dovuto svolgere un ruolo fondamentale lungo il confine che separava l’ovest atlantico dall’est sovietico.

A settantasette anni dalla fine della guerra e a trentatré dalla caduta del muro di Berlino la questione rappresenta un convitato di pietra delle memorie storiche nazionali.
Il sostegno italiano allo Stato tedesco in merito ai processi di risarcimento delle vittime delle stragi è mosso da un interesse materiale: avviare quel meccanismo nei confronti della Germania finirebbe per coinvolgere anche l’Italia rispetto ai crimini di guerra e alle devastazioni, mai risarcite, compiute dalle truppe del regio esercito e dalle milizie fasciste in Jugoslavia, Grecia, Albania, Russia, Francia, Libia, Etiopia.

Un processo che determinerebbe anche la rivisitazione dei fenomeni di «continuità dello Stato» sia delle classi dirigenti sia delle linee di sviluppo economico e geopolitico tanto dell’Italia che non celebrò un suo processo di Norimberga (e che oggi con le giornate del ricordo del 10 febbraio e quella degli alpini del 26 gennaio alimenta un paradigma vittimario incentrato sul falso mito degli «italiani brava gente») quanto della stessa Germania che quel processo lo ebbe ma che nei caratteri profondi del suo capitalismo (come mostra uno studio di Johann Chapoutot) mantenne una forte continuità con il proprio passato storico.

Su tutto, le questioni che questo passato pone al nostro presente restano la guerra ed i suoi crimini.