Seduta al sole su una panchina, il cappello è di quelli leggeri e la camicia a righe, chiara. In un video del 2014, sono alcune le foto private che ritraggono Maryam Mirzakhani nell’anno in cui è vincitrice della prestigiosa «Fields medal». Che cosa abbia fra le mani, su quella panchina, una giovane donna che da piccola divorava romanzi e sognava di diventare una scrittrice, è difficile da stabilire. Eppure dal lieve accanirsi su quel foglio bianco sulle sue ginocchia, si può scommettere si tratti delle sue amate forme geometriche.

Curve che restano certamente dei rivoli qualsiasi per chi ha poca confidenza con le superfici di Riemann, e che tuttavia acquistano il segno deciso e schietto della sua mano che sapeva vedere il mondo e il suo segreto modificarsi quando, precisa, tiene conferenze in giro per il mondo (quelle a Stanford sono visibili su youtube) a proposito di «Dynamics on the Moduli Spaces of Curves». Con un incarnato lunare che fa spiccare ancora di più gli occhi di un blu intenso, la si può riconoscere in ciò che amava fare e insegnare: la matematica, che è stata per lei la più grande tra le tessitrici e maestre di libertà, creatività e rigore.

Arrivata negli Stati Uniti dalle prestigiose scuole iraniane, in una intervista per il Guardian racconta come dovesse spiegare il sistema didattico del suo paese d’origine in cui le donne, si dica per inciso, rappresentano la parte della popolazione più istruita.

Solare, quando la bellezza è lo strano accordo tra interno ed esterno che fa sperare in una qualche forma di felicità, solo venti anni fa, di rientro a Teheran da un concorso nella città iraniana di Ahwaz (nella regione del Khuzestan), si trovava sul pullman che perse il controllo per precipitare in fondo a un dirupo. Non sapeva che le mancava altrettanto da vivere.

Spero che questo premio sia di ispirazione per altre ragazze, in tante parti del mondo. Davanti a una platea rapita dalla novità per la prima donna al Nobel per la matematica in quel 13 agosto di soli tre anni fa, Maryam Mirzakhani si preoccupava per le altre donne. In quella grazia discreta che spesso accompagna il genio, sapeva che su quel palco non era sola.