Internazionale

Marwan Barghouti tentato dalla presidenza

Marwan Barghouti tentato dalla presidenza

Territori occupati Il popolare "Nelson Mandela palestinese" sta considerando la sua candidatura a presidente dell'Anp. Nel frattempo gli altri pretendenti a prendere il posto dell'84enne Abu Mazen stringono alleanze per tenerlo lontano dal voto o per ottenerne l'appoggio

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 15 gennaio 2020

Negli uffici di Ramallah del Comitato per la liberazione di Marwan Barghouti l’attività è ripresa intensa, come non avveniva dallo sciopero della fame che il più popolare dei prigionieri politici palestinesi attuò qualche anno fa assieme a migliaia di detenuti nelle carceri israeliane. Il figlio Qassam, che gestisce la sede, nega che questo fermento sia legato alle voci che vorrebbero Barghouti pronto a candidarsi alla carica di presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). «Non capisco queste voci» ci dice Qassam Barghouti, «è inutile parlare di candidature quando nessuno sa se e quando ci saranno le presidenziali e le legislative. E smentisco chi afferma che mio padre si sarebbe alleato con questo o quel dirigente politico». Il giovane di sbilancia solo su di un punto: «Posso dirvi questo però: dovessero essere annunciate in via ufficiale le elezioni mio padre non tarderà a far conoscere la sua posizione». Qassam non aggiunge altro ma basta a farci credere che il padre considererà seriamente la possibilità di candidarsi a presidente.

 

Tuttavia resta remota l’ipotesi che i palestinesi tornino ad eleggere un presidente 15 anni dopo la vittoria di Mahmoud Abbas (Abu Mazen, 84 anni) e un nuovo Consiglio legislativo 14 anni dopo le politiche vinte dagli islamisti di Hamas. Lo scorso settembre all’Onu, Abbas ha annunciato l’intenzione di convocare elezioni in Cisgiordania e Gaza. Ma non si aspettava che Hamas accettasse subito la sfida. E il suo partito, Fatah, non è certo di vincere in Cisgiordania dove il movimento islamico (che controlla Gaza) gode sempre di parecchia popolarità. Un «pericolo» che non frena i pretendenti di Fatah alla carica di presidente, convinti che Abbas per motivi di età e di salute presto sarà costretto a farsi da parte. E intanto si formano alleanze.

 

La principale è quella tra Hussein Al Sheikh, responsabile per gli affari civili dell’Anp, e il capo dell’intelligence Majd Faraj. Questo schieramento piace, si dice, a Israele e Stati Uniti poiché include due figure di primo piano di Fatah e dell’Anp che hanno contatti stabili con i servizi di sicurezza israeliani e statunitensi. Al Sheikh e Faraj sosterrebbero la candidatura a presidente del primo ministro Mohammed Shtayyeh, a svantaggio del numero due di Fatah, Mahmud Aloul, il «successore naturale» di Abbas secondo alcuni. I due però devono fare i conti con le ambizioni di Jibril Rajoub, già capo dell’intelligence e attuale presidente della Federcalcio palestinese. Rajoub sostiene la candidatura di Marwan Barghouti. Afferma che il «Nelson Mandela palestinese» sarebbe l’unico in grado, da presidente dell’Anp, di ridare popolarità a Fatah e di rilanciare le rivendicazioni palestinesi. Rajoub però non «esclude» che Barghouti alla fine possa scegliere di non candidarsi e di dargli il suo appoggio nella corsa alla poltrona di raìs.

 

«Rajoub ha fatto bene i suoi conti» ci spiega l’analista Hamada Jaber «tutti i sondaggi indicano che Marwan Barghouti è in grado di vincere e di far vincere contro Abbas e il leader di Hamas Ismail Haniyeh. Formando un’alleanza di ferro (con Barghouti) Rajoub sa che i suoi avversari non potranno mai arrivare primi». Il rischio deve essere reale visto che Al Sheikh e Faraj hanno organizzato un incontro tra Abbas e Fadwa Barghouti allo scopo di persuadere Marwan a non scendere in campo. Dietro le quinte si muove un altro pretendente, Mohammed Dahlan, espulso da Fatah ma sostenuto dall’Egitto e gli Emirati. Dahlan, si dice, potrebbe appoggiare la candidatura di Barghouti contro quella di Shtayyeh. Pochi però credono che si terranno nuove elezioni. Abbas potrebbe congelarle con il pretesto del «no» di Israele alla partecipazione al voto dei palestinesi di Gerusalemme.

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