Martin Scorsese, le franchise e il pericolo per il cinema
Grande schermo L'editoriale del regista sul «New York Times» approfondisce la sua posizione sui film Marvel
Grande schermo L'editoriale del regista sul «New York Times» approfondisce la sua posizione sui film Marvel
«Negli ultimi 20 anni, il business del cinema è cambiato su tutti i fronti. Ma il cambiamento più inquietante è avvenuto segretamente, nell’oscurità: la graduale ma costante rimozione del rischio». Sono le parole di Martin Scorsese, che in un editoriale pubblicato ieri dal «NY Times» è tornato sulla polemica suscitata dalle sue parole a proposito dei film Marvel, che in un’intervista con «Empire» dello scorso ottobre aveva definito «parchi divertimenti», non vero cinema.
LA RIMOZIONE del rischio è, scrive, ciò che ha portato alla quasi esclusiva produzione, da parte degli Studios, di film standardizzati: «Molti film oggi sono prodotti perfetti, fabbricati per il consumo immediato. Molti di loro sono ben fatti, da squadre di individui di talento. Ma gli manca qualcosa di essenziale nel cinema: la visione unificante di un artista individuale». In una lunga digressione sul cinema che ha amato da giovane, Scorsese spiega proprio questo: «Per me il cinema rappresentava una rivelazione». E ancora: «Voleva dire confrontarsi con l’inatteso sul grande schermo e nella vita, ampliare il senso di ciò che era possibile in una forma d’arte. Perché per noi questa era la chiave: si trattava di una forma d’arte». Proprio quello che, nel suo ragionamento, i film Marvel non sono. In essi «non c’è rivelazione, mistero, o un genuino pericolo emotivo. Nulla è a rischio. Sono fatti per soddisfare dei bisogni specifici, progettati come variazioni su un numero circoscritto di temi».
IL MOTIVO per cui ha preso posizione, spiega, è il «pericolo» sul cinema, dato che le franchise hanno colonizzato le sale e l’immaginario. «I cinema indipendenti non sono mai stati così pochi. L’equazione si è ribaltata e lo streaming è diventato il principale mezzo di fruizione». Il regista torna così anche sulla sua scelta di lavorare con Netflix per The Irishman (nelle nostre sale in questi giorni e sulla piattaforma il 27) : «Parlo da persona che ha appena fatto un film per Netflix. Solo loro ci hanno consentito di farlo come andava fatto, e di questo gli sarò sempre grato. Abbiamo una finestra cinematografica, e questo è buono. Mi piacerebbe se il film restasse più a lungo in sala, e in più cinema? Certamente. Ma non importa con chi realizzi il tuo film, il fatto è che la maggior parte degli schermi è occupata da franchise». E, aggiunge, non è un semplice problema di domanda e offerta: «Se alle persone viene data e venduta continuamente la stessa cosa, è quella cosa che loro vorranno sempre».
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