Marshall Allen e la carica dei 100
Storie/Artisti che hanno festeggiato un secolo di vita. Dal sassofonista di Sun Ra a Elisabeth Waldo Chi è diventato il leader della Arkestra, chi ha scelto la via dell’Exotica, chi ha preferito il mondo Disney. Artisti legati perlopiù alla sfera del jazz. Hanno inventato strumenti e scritto pagine di rilievo per il genere
Storie/Artisti che hanno festeggiato un secolo di vita. Dal sassofonista di Sun Ra a Elisabeth Waldo Chi è diventato il leader della Arkestra, chi ha scelto la via dell’Exotica, chi ha preferito il mondo Disney. Artisti legati perlopiù alla sfera del jazz. Hanno inventato strumenti e scritto pagine di rilievo per il genere
Il 25 maggio scorso il polistrumentista Marshall Allen – sassofoni, oboe, flauto, piccolo, Ewi, kora, morrow, percussioni – ha festeggiato il secolo di vita, rendendosi come sempre disponibile a continuare l’attività di jazzman sia quale leader di propri gruppi sia alla testa della leggendaria Sun Ra Arkestra, come succede da trent’anni esatti per tournée e concerti e da un quarto di secolo dalla pubblicazione dell’album che lo vede prendere in mano la celeberrima big band anche dal punto di vista discografico.
A tal proposito A Song for the Sun (1999) con la denonimazione The Sun Ra Arkestra Under The Direction Of Marshall Allen, giungeva a quarant’anni esatti dal debutto di Allen su vinile con la formazione originaria al terzo album ufficiale Jazz en silhoutte (1959) con lui al sax alto, mentre il tenore era John Gilmore (1931-1995), presente sin dal primo 33 giri e attivo fino alla scomparsa di Sun Ra (1913-1993, all’anagrafe Herman Poole Blount, dal 1952 Le Sony’r Ra e via via Le Sonra e Sonny Lee, fino al nickname più celebre, ovvero «Sole», in lingua inglese e in geroglifico egizio).
RARA APPARIZIONE
A stringere il campo, Allen passerà alla storia della musica per gli assolo di morrow (strumento artigianale di propria fabbricazione) in Love in Outer Space (45 giri, 1964), di oboe in Exotic Forest (da St. Lawrence University, 1966) e del sax alto in The Thunder Realm (dal vivo a Montreux, 1976), non senza dimenticare l’intervento sempre al contralto in Barrage, title track dell’omonimo lp di Paul Bley e rara apparizione di Marshall in quel decennio al di fuori dell’Arkestra. Secondo il critico statunitense Scott Yarrow, Allen sta a Sun Ra come Johnny Hodges a Duke Ellington, a cominciare dalla tipologia di strumenti suonati: per Allen è anzitutto prevalente il contralto alla stregua del più anziano collega (anche sopranista) nonché ispiratore del giovane apprendista, memore altresì del sassofonismo di Willie Smith, Benny Carter, Charlie Parker; per Ra le tastiere (sovente da lui brevettate) sostituiscono il pianoforte che il Duca usa da sempre e che non abbandonerà mai.
Per il resto si tratta delle due orchestre che forse simboleggiano al meglio il passaggio dal jazz classico a quello avanguardista nel più avveniristico dei modi (e dei mondi) possibili; e tuttavia esistono ulteriori parallelismi fra le due orchestre, ancora tutte da studiare: entrambe per prime esprimono una sorta di consapevole négritude all’interno dei propri contesti storici, che sono precipuamente gli anni Venti-Trenta per Ellington, gli anni Sessanta-Settanta per Ra, nonostante la continuità delle formazioni anche nelle loro epoche successive per lungo tempo e in parallelo addirittura per un paio di decenni.
L’afroamericanismo da Duke e da Sun Ra viene supportato non solo dalla musica, ma dal vivo con spettacoli in cui il sound degli orchestrali interagisce con il corpo di ballo, a sua volta contornato da scenografie richiamanti arcani misteri: la giungla subsahariana nel primo caso, l’antico Egitto nel secondo, con le aggiunte dell’elemento di modernità che per l’Orchestra è la coeva art déco, per l’Arkestra la fantascienza e la fantarcheologia. Per le due big band si può dunque già parlare di afrofuturismo rispettivamente come pionieristico antesignano e quale attuazione forse vicina addirittura alla postmodernità generale.
DUE SQUADRE
Senza ovviamente nulla togliere ad ambo i leader, a trainare le squadre vi sono i due altisti – Marshall e Johnny – che, sempre testando i diversi contesti socioculturali, hanno il duplice ruolo comune di prestare voce agli assolo all’interno del collettivo (o in dialettica con gli altri strumenti) e per così dire di condurre la sezione fiati in primo piano, conferendole un valore assoluto, anche grazie a un repertorio scritto e arrangiato per ciascun membro – nome e cognome – di ciascun ensemble e non per un generico referente.
Detto questo, anche a un orecchio non svezzato, le differenze sono evidenti, nonostante le citazioni-tributo del sound di Ellington nel Ra degli ultimissimi decenni: ma c’è ancora un’ennesima comunanza di intenti espressivi – di cui sia Allen sia Hodges si fanno spesso portabandiera – a giocare sul dualismo identitario colto/popolare, impegnato/leggero, intellettualistico/comunicativo: Duke dal vivo, nelle ballroom, interpreta un repertorio affabile e leggero, riservandosi in studio di registrazione un approccio assai più colto e raffinato nella vasta produzione discografica, così come anche Sun Ra debutta con un rhythm’n’blues spesso vicino al rock’n’roll con una serie di 45 giri avveniristici che faranno da tramite diretto a uno stile sempre più libero e sperimentale, fino a imporsi quale vera unica grossa formazione nell’ambito della cosiddetta new thing.
BUFFALO SOLDIERS
A questo punto interviene il centenario Allen, nel senso che arriva nel 1957 a definire il suono dell’Arkestra aggiungendovi una storia personale un po’ differente da quella degli altri jazzisti, perlopiù bopper, cresciuti, fra alcol, disagio, povertà, nello stesso periodo: nato a Louisville (Kentucky), il 24 maggio 1924, si stabilisce con il padre a Filadelfia, per studiare a dieci anni clarinetto e sassofono e arruolarsi militare appena diciottenne, smistato ovviamente nella banda militare.
Diventa membro della 17a Divisione Special Service Band, a sua volta parte della 92a divisione di fanteria dell’esercito Usa, da tutti conosciuta come Buffalo Soldiers; nel 1943 è sul fronte europeo in Normandia ed è uno dei pochi membri sopravvissuti della cosiddetta Cavalleria Nera, rinomata per il coraggio dimostrato contro il nemico nazifascista, nonostante le difficoltà a convivere con i reparti bianchi statunitensi.
Congedato con onore nel 1949, Marshall, invece di tornare in patria sceglie di andare a Parigi e di iscriversi al conservatorio della capitale francese, onde perfezionare lo studio del clarinetto e, nel tempo libero, suonare in jam session con rinomati jazzisti, da Coleman Hawkins a Don Byas, da Art Simmons a James Moody, fino ad alcuni orchestrali di Ellington, tutti di passaggio nella Ville Lumière ormai divenuta capitale europea del jazz sia per i tradizionalisti (hot, swing) sia per i modernisti (bebop, cool). Tornato in America nel 1951, il saxman decide di risiedere a Chicago, dove vive anche la madre e dove suona con chiunque lo voglia assumere.
Un giorno per caso Joe Segal titolare di un negozio di dischi gli vende una demo di Sun Ra: estasiato dalla musica fa di tutto per conoscere subito il leader e per entrare a far parte della band: e aiutato dal trombettista King Kolax, scova il tastierista in un locale caldaia dove l’Arkestra sta provando nuovi brani e discutendo di viaggi spaziali, le ottime credenziali gli rendono immediatamente un ingaggio; con l’aggiunta del flauto, Marshall è dunque pronto nel 1959 per la prima tournée a Chicago, Milwaukee, Montreal. Un guasto all’automobile blocca la Sun Ra Arkestra a New York senza soldi: gli otto «sopravvissuti» riusciranno a fatica a mantenersi e poi nel corso di pochissimi anni a debuttare nella metropoli che li accoglierà calorosamente nel giro degli artisti sperimentali, come una delle maggiori esperienze innovative, ammirando soprattutto il senso di cameratismo e di disciplina esistente tra i membri del gruppo, di base, dal 1968 fino a oggi, in un palazzone di Filadelfia, un tempo deposito di pneumatici appartenente al padre di Allen e venduto a Sun per la cifra simbolica di un dollaro.
MORTON STREET
L’edificio sito al 5626 di Morton Street è oggi noto quale Arkestral Institute of Sun Ra e dal 2022 viene elencato nel Registro dei luoghi storici di Filadelfia: lo stesso Ra – che dota l’immobile di mini-alloggi per ciascun membro dell’Arkestra, oltre a costruire una sala prove e uno spazio per concerti, mostre, dibattiti, conferenze – ci vivrà fino alla morte (1993) lasciando in eredità la big band dapprima a John Gilmore (con lui dagli esordi) e, dopo la scomparsa di quest’ultimo (nel 1995), allo stesso Allen che la dirige tuttora.
Incoraggiato dal leader, Marshall lavora solo per lui per 34 anni filati, collaborando con altri in sole quattro occasioni a inizio Sixties: oltre il citato Bley, con il gruppo percussionistico del nigeriano Olatunji e ai film Individual (Bill Dixon) e The Cry of Jazz (Edward O. Bland).
Dalla morte di Sun Ra, però, il saxman intensifica una parallela attività sia solista sia collaborativa con musicisti di varia estrazione artistica: tra il 1998 e il 2000 a proprio nome registra i due Mark-n-Marshall: Monday e Tuesday e PoZest, tra il 2003 e il 2020 sono nove gli album ufficiali – The All-Star Game, Opportunities & Advantages, Ten by Two, Cosmic Tsunami, Night Logic, Vibrations of the Day, Two Stars in the Universe, Ceremonial Healing, Flow States – via via realizzati con storici free jazzmen del calibro di Hamid Drake, Milford Graves, Roscoe Mitchell, Joe Morris, William Parker, Roswell Rudd, Jamie Saft, Matthew Shipp, Alan Silva, Danny Ray Thompson, mentre, fra 1995 e il 2018, partecipa in qualità di ospite o guest star a un’altra decina di lavori, tra cui, ad esempio, Terrible di Terry Adams, The Dropper di Medeski, Martin & Wood, Loveletter #2 The Ra Sessions di The Muffins & Knoel Scott, In this Moment dell’ Odean Pope Trio ecc. Fin da quando è «documentato» discograficamente, Allen è conosciuto per la maestria sonora negli effetti stridenti, esplosivi, caotici al sax alto, con uno stile di gioco «pirotecnico» che per lui significa «suonare su una base sonora più ampia piuttosto che sugli accordi», tra voce, colore, fraseggio alla Johnny Hodges «da un’altra dimensione».
Decisivo nell’Arkestra anche come polistrumentista, Marshall espone quasi sempre un lirismo sereno – orientalista all’oboe – fra parossismi di registro, intensità espressiva e tempi insoliti, toccando vertici estremisti soprattutto nei duetti con l’altro plurisassofonista Danny Davis. Oltre a perpetuare la musica dell’Arkestra, Marshall cura persino la memoria storica di Sun Ra, facendo anzitutto in modo che, nel 2007, la biblioteca dell’università di Chicago acquisisca una vasta collezione di registrazioni, manoscritti, fotografie e oggetti di Sun Ra, mentre un altro archivio viene conservato presso la Emory University; parliamo comunque di una vastissima eredità. «Ho interi sacchi – confessa Allen – pieni di appunti e partiture di Sun Ra. Ha ideato così tanta musica che potresti passare i prossimi vent’anni a esaminarla tutta. Scriveva musica con la stessa facilità con cui io posso scrivere un biglietto!». Ed è così, grazie alle numerose attività e all’ottima musica, che per l’album Swirling (2020) la Sun Ra Arkestra diretta da Marshall Allen ottiene la prima nomination ai Grammy nel 2021, nella categoria dei migliori, grandi ensemble jazz.
Un anno fa, in occasione del novantanovesimo compleanno Marshall ha rivelato alla giornalista Shannon J Effinger: «Ci sono voluti parecchi anni per capire di cosa stesse parlando, quindi è così che ho imparato: nel modo più duro, e lavoro, lavoro, lavoro. Un uomo non può imparare senza disciplina. Tutto ciò di cui aveva bisogno era il tuo tempo. Diceva, ‘Hai un bel suono quando suoni, ma manca qualcosa’. L’altra parte era lo spirito. Questo è ciò su cui stava lavorando. Non che non potessi suonare o non avessi un suono, non potevo suonare la sua musica. Non era solo suonare le note, ma il modo in cui le suonavi. Veniva da qui: dal cuore».
FUORI I LONGEVI
Marshall Allen non è l’unico centenario nella musica attuale, ci sono, infatti, persone più anziane di lui che, guarda caso, appartengono tutte più o meno direttamente alla sfera del jazz: il record di longevità oggi spetta a Elisabeth Waldo (18 giugno 1918), violinista, autrice, bandleader, etnomusicologa, già nelle orchestre jazz di Les Baxter e Billy May e soprattutto solista negli album della vocalist peruviana Yma Sumac, tra le stelle internazionali della musica Exotica e degli stili lounge nelle varianti andine con imprinting hollywoodiano.
Segue il contrabbassista Charles Burrell (4 ottobre 1920) che vanta una parallela carriera in ambito dotto, arrivando – primo afroamericano nella storia – a far parte della Denver Symphony Orchestra (oggi Colorado Symphony) e per questo meritandosi l’appellativo di «Jackie Robinson of classical music» e nel 2011 il prestigioso Martin Luther King Jr. humanitarian award. Burrell, che nel corso degli anni, si esibisce accanto a mostri sacri come Billie Holiday, Erroll Garner, Charlie Parker, Earl Hines, Duke Ellington, Count Basie, Lionel Hampton o all’interno della Jazz Orchestra della stazione radio Kuvo per tutti gli anni Novanta, svolge altresì un’intensa attività didattica, con allievi illustri quali Ray Brown, Dianne Reeves, George Duke.
Forse però il jazzman centenario per antonomasia è l’italo-americano Ray Anthony (20 gennaio 2022) al secolo Raymond Antonini, trombettista, band leader, paroliere, attore che esordisce nella sezione fiati della Glenn Miller Orchestra, restandovi per due anni prima di arruolarsi nella marina militare: nel dopoguerra forma una propria big band, oscillante fra swing e dixieland che resta l’unica a perpetuare i vecchi tempi ininterrottamente su disco dal 1951 al 1978 con picchi di tre/quattro lp all’anno fra il 1953 e il 1962 con un jazz strumentale chiaramente easy listening ma unico a tener testa in quegli anni ai notevoli album di Frank Sinatra: l’ep Melody of Love (1956) segna il solo incontro fra i due all’epoca popolarissimi.
Completa l’ipotetico jazz quartet (quintet con Allen) il cantante baritono parigino Jean Cussac (31 maggio 1922) che, quarantenne, è tra i fondatori degli Swingle Singers; in seguito si dedica alla direzione orchestrale, al musical francese (Les parapluies de Cherbourg) e alla cura di colonne sonore, dove è particolarmente attivo nel doppiaggio dei pezzi dei film disneyani da Mary Poppins a La carica dei cento e uno, da Pinocchio a Il libro della giungla; oltre alla nomina di Maestro di Cappella presso la Cattedrale di San Luigi degli Invalidi a Parigi, Cussac esegue una letteratura dotta notevole, ad esempio, con la registrazione della mozartiana Messa dell’incoronazione o con la moderna Les Malheurs d’Orphée di Darius Milhaud.
PARTITURA COLTA
E a proposito di musica colta il compositore turco Ilhan Usmanbas (23 ottobre 1921), risulta l’unico nel proprio Paese, dopo un soggiorno negli Stati Uniti per frequentare la scuola dell’Unicef, a riportare e mettere in pratica, già nel 1954, le influenze della nuova musica sperimentale; spesso isolato dai consessi accademici vicini ai regimi via via susseguitesi ad Ankara da allora a oggi, l’artista riesce a comporre e a farsi eseguire all’estero numerose partiture, con una libertà di forma e una concentrazione sull’intensità (più che sulla melodia), attivando tecniche e stilemi di neoclassicismo, alea, dodecafonia, serialismo e minimal music.
E c’è infine anche il caso di Stella Greka, al secolo Styliani Lagada, cantante e attrice: in alcune biografie la nata di nascita viene fatta risalire al 1° aprile 1922, in altre posticipata di due anni; famosa nell’Ellade già prima della seconda guerra mondiale, vive a lungo negli Stati Uniti, sposata con l’imprenditore greco-americano John Agverinos: torna in patria solo nel 1987, riprendendo a cantare, con l’apoteosi dell’enorme tributo che il compositore Michalis Koubios le organizza assieme ai migliori artisti locali: e lei novantaduenne ruba la scena a tutti fra sirtaki e rebetiko della moderna tradizione.
Nella musica la persona più longeva in assoluto è stata forse la pianista Alice Herz-Sommer nata a Praga il 26 novembre 1903 e morta a Londra il 23 febbraio 2014; già brillante pianista classica, con l’occupazione tedesca della Cecoslovacchia (marzo 1938) molti familiari e qualche amico (tra cui lo scrittore Max Brod) emigrano in Palestina passando dalla Romania e poi via mare; Alice rimasta a Praga per occuparsi della madre inferma, nel 1942 viene arrestata e condotta nel campo di concentramento di Theresienstadt, assieme al marito trasferito a Auschwitz e poi ucciso a Dachau nel 1944. Miracolosamente sopravvissuta, la pianista nel 1949 emigra in Israele per lavorare come docente di musica a Gerusalemme. Sempre più delusa dai governi di destra del paese adottivo nel 1986, assieme all’unico figlio (morto nel 2001), si stabilisce definitivamente a Londra nella zona di Hampstead; fino all’età di 97 anni pratica nuoto e fino a 107 suona il pianoforte per due ore e mezza ogni giorno, ribadendo a ogni intervista il pericolo di un fascismo che si maschera spesso di falsi miti.
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