Cultura

Marmi Torlonia, la casa che non c’è

Marmi Torlonia, la casa che non c’èMuseo del Louvre, Parigi, mostra della Collezione Torlonia (FondazioneTorlonia) foto di Agostino Osio

Patrimonio Capolavori esposti al Louvre, ma latita il museo che li dovrebbe accogliere. L’archeologia del III millennio è uno showroom di pezzi unici ed esotici, decontestualizzati e piazzati sul mercato delle mostre e delle fiere internazionali

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 2 ottobre 2024

Il Louvre ospita fino all’11 novembre i capolavori della Collezione Torlonia, usciti per la prima volta dai patri confini. Si tratta della più grande collezione privata di statuaria romana (620 pezzi) formata nel XIX secolo a Roma inglobando differenti raccolte, come quella del celebre restauratore del ‘700 Bartolomeo Cavaceppi, e alimentata dagli scavi della casata principesca nei propri terreni. La mostra – sponsorizzata da Bulgari e curata da Cécile Giroire e Martin Szewczyk con Carlo Gasparri e Salvatore Settis – era già andata in scena ai Musei Capitolini e alle Gallerie d’Italia a Milano, sulla scia dell’accordo siglato nel 2016 tra l’allora Ministero dei beni culturali e del turismo e la Fondazione Torlonia. Un’intesa (di cui tuttavia non si vedono gli esiti) per l’istituzione di un museo che restituisca alla pubblica fruizione un patrimonio rimasto a lungo appannaggio di pochi privilegiati, e poi consegnato all’oblio e al degrado con la chiusura, a metà ‘900, del museo apprestato nel 1876 da Alessandro Torlonia nel palazzo di via della Lungara.

La rassegna è allestita nei rinnovati appartamenti di Anna d’Austria – spazio di presentazione della scultura romana dal 1800 – allo scopo di instaurare un «dialogo che interroga l’origine dei musei e il gusto per l’Antico, elemento fondante della cultura occidentale». Anche il Louvre glissa, dunque, sulle conseguenze del collezionismo, che ha sradicato le opere antiche dai luoghi per i quali erano state immaginate, provocando una lacerazione tra memoria e territori, tra patrimonio e comunità.

Con la stessa logica che considera Elgin il salvatore e non lo scippatore dei Marmi del Partenone, i Torlonia appaiono con tediosa indulgenza dei benefattori, grazie ai quali è possibile ammirare eccelse copie di originali greci altrimenti perduti. L’archeologia si inchina ancora una volta al potere, come a dire che niente dall’’800 a oggi è cambiato. Ma se per il Ministero della Cultura le incresciose vicende dei Marmi Torlonia non sembrano suscitare imbarazzo, le presunte strategie di valorizzazione che portano sculture iconiche in giro per l’Italia e per il mondo anche in assenza di ragioni scientifiche costituiscono persino motivo di orgoglio.

L’archeologia del III millennio è uno showroom di pezzi unici ed esotici, decontestualizzati e piazzati sul mercato delle mostre e delle fiere internazionali. La Storia, in questo revival dell’antiquaria, è un orpello che svanisce dietro gli interessi politico-economici e le attraenti sagome del sensazionalismo. Così, travolti da un’esuberante devozione mediatica fin dalla recente scoperta in un santuario etrusco-romano, i Bronzi di San Casciano sono approdati al Museo archeologico di Reggio Calabria, tappa di una tournée che ha già toccato il Quirinale e il Museo archeologico nazionale di Napoli (Mann).

Sospinto dalla propaganda identitaria della Regione Sardegna, il «gigante» di Mont’e Prama denominato Manneddu – uno dei 44 esemplari di un gruppo scultoreo dell’Età del ferro – è giunto al Museo archeologico nazionale di Madrid. In tale traffico, non stupisce che nel 2023 i Corridori di Ercolano (I secolo a.C.) siano stati catapultati sulle passerelle di Bottega Veneta durante la settimana milanese della moda. L’antico deve dialogare con la società, recita il mantra del Mic. Ma con quale obiettivo? Non certo per favorire affari privati, come accaduto al Palazzo delle Esposizioni in occasione della rassegna Vita Dulcis dedicata al tema del desiderio nell’impero romano, per la quale il Museo nazionale romano aveva fornito a Francesco Vezzoli una serie di ritratti a cui applicare dissacranti make-up, usando beni comuni per pubblicizzare le creazioni pop dell’artista.

Intanto, nella Sala della Meridiana del Mann riallestita per il G7 della Cultura, l’Atlante Farnese ha ritrovato un basamento. Negli ultimi anni, infatti, aveva spesso sostato su un pallet, pronto a partire come una qualunque merce per le più svariate destinazioni. Anche questa volta, però, la trasferta incombe. Il maestoso Titano è atteso all’Expo 2025 di Osaka, dove dovrebbe ambiziosamente rappresentare i legami culturali tra Occidente e Oriente. Fungendo, en passant, d’arredo di lusso per il Padiglione Italia.

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