Alias

Mario Fiorentini, partigiano dalle tre vite

Mario Fiorentini, partigiano dalle tre viteNella foto i gappisti romani: Alfredo Reichlin, Tullio Pietrocola, Giulio Cortini, Laura Garroni, Maria Teresa Regard, Franco Calamandrei, Valentino Gerratana, Duilio Grigioni, Marisa Musu. Sotto: Arminio Savioli, Francesco Curreli, Franco Albanese, Carla Capponi, Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Ernesto Borghesi, Raoul Falcioni. Seduti, davanti al gruppo: Fernando Vitagliano e Franco Ferri. Sdraiato a terra: Pasquale Balsamo

La storia Oltre un secolo di lotte per la libertà, dalla Resistenza fino a oggi, con voce forte e chiara

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 8 gennaio 2022

Il 7 novembre ha compiuto 103 anni, ma con voce tonante e con un fiume inarrestabile di straordinari racconti ancora combatte con vigore per la libertà e la verità storica. Mario Fiorentini è una figura leggendaria della Resistenza italiana. Con il nome di battaglia di «Giovanni», è stato il protagonista dal settembre 1943 di sette mesi di guerriglia urbana a Roma e l’autore di azioni militari memorabili contro gli occupanti nazisti quale Comandante del Gap Centrale «Antonio Gramsci» di Roma. Per il suo impegno nella Resistenza è stato insignito con tre Medaglie d’argento al V.M. e tre Croci al merito di guerra diventando il Partigiano più decorato d’Italia.

Definisce la sua vita avventurosa e unica «le mie tre vite» che è anche il titolo della sua ultima biografia sulla lotta antifascista, ma anche sul ruolo nel dopoguerra di scienziato e docente universitario di matematica.
Era nato nel 1918, quattro giorni dopo la vittoria italiana a Vittorio Veneto che decise la Prima guerra mondiale. Nei quartieri antifascisti e popolari di Roma è un mito che suscita, emozione, rispetto, ammirazione, ma le autorità nazionali e locali paiono aver dimenticato di onorare questa figura straordinaria della liberazione del nostro paese dall’occupante nazista e dalla dittatura fascista.

Ha quattro anni quando vede sfilare in via Veneto il corteo, a urla e grida, dell’accozzaglia squadrista che aveva fatto la marcia su Roma. Al bimbo quelle immagini disgustose e grottesche rimarranno per sempre negli occhi consolidando, anni dopo, la sua coscienza antifascista. Il suo maestro di «libertà» è un artigiano repubblicano, l’ebanista Fernando Norma, che in via dell’arco della Ciambella, gli racconta spesso di Mazzini e Garibaldi. Quando scoppia la guerra di Spagna, Fiorentini ha già 18 anni e ascolta le notizie antifasciste che arrivano per misteriose vie illegali sulla lotta dei «garibaldini» italiani contro Franco e le truppe di Mussolini. Due anni dopo subisce la propaganda antisemita e razzista che culmina con le leggi razziali nell’autunno 1938, che colpiscono i suoi affetti più cari, rafforzando la sua idea di combattere il fascismo.

A guerra iniziata, ancora prima del 25 luglio 1943, Fiorentini crea con la compagna Lucia Ottobrini «Gli Arditi del popolo» in ricordo della formazione antifascista che al comando di Guido Picelli nell’agosto del 1922 ottenne a Parma la prima vittoria militare sul fascismo.

Fin dai primi di settembre del 1943 entra nella resistenza assumendo il comando del GAP (Gruppi di azioni patriottica) Centrale «Antonio Gramsci». I suoi compagni della Resistenza urbana sono alcuni reduci della guerra di Spagna come Francesco Curreli, ma anche intellettuali, studenti, giuristi, professori, come Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Antonello Trombadori, Franco Calamandrei, Gioacchino Gesmundo. Fiorentini arruola anche due giovani, Emilio Vedova e Giulio Turcato, che nel dopoguerra diventeranno importanti artisti. Nei GAP romani è molto forte anche la componente delle donne: Carla Capponi, Maria Teresa Regard, Marina Musu e Lucia Ottobrini che dopo la guerra Fiorentini sposerà. «Io e Lucia prima di un’azione tremavamo di paura l’uno e l’altro. Ci stringevano la mano e accennavamo un rassicurante sorriso nella speranza di potercela fare …», ricorda Fiorentini.

«Abbiamo fatto tutta la guerra dei GAP insieme, mano nella mano: l’amore di Lucia non è banale perché uno dei due poteva morire». Tra il 9 e il 10 settembre 1943 partecipa alla Battaglia di Porta San Paolo nel tentativo di impedire l’ingresso a Roma dei nazisti. A metà ottobre riesce a scampare fortunosamente al rastrellamento degli italiani di religione ebraica nel ghetto di Roma. Finiscono però nella rete nazista di Kappler, oltre a 1259 cittadini, il padre ebreo, Pacifico, e la madre cattolica, Maria Moscatelli, che però riusciranno con un escamotage a fuggire dalla stazione poco prima di essere imbarcati sui vagoni per i campi di concentramento. Fiorentini non accetta di «cedere al ricatto delle rappresaglie» ritenendo Roma né «una città aperta» né «pacifica». I GAP di Fiorentini attaccano nelle strade della capitale comandanti fascisti, militari nazisti in divisa e armati, acquartieramenti militari, luoghi di ritrovo degli occupanti. Studia un attacco al comando nazista di via Tasso, contribuisce all’organizzazione dell’attacco a una riunione fascista al cinema Adriano che fallisce per poco, studia tre dispositivi d’attacco per l’azione di via Rasella, ma non partecipa di persona all’azione.

Con altri gappisti attacca con bombe a mano Brixia una folta manifestazione dei militi fascisti di «Onore e combattimento» in via Tomacelli. L’azione più pericolosa Fiorentini la attua da solo. Alle 11.50 del 28 dicembre attacca il carcere di Regina Coeli, per far sentire a Pertini e Saragat e agli altri antifascisti incarcerati «che fuori ci siamo noi» come gli ordinò Trombadori. «Attaccare i tedeschi era l’unico modo che avevamo per reagire a quella cappa di piombo che avvolgeva Roma…» racconta Fiorentini. «Arrivai di fronte a Regina Coeli.

Malgrado fosse inverno sudavo. Ero solo e davanti a me avevo un drappello di tedeschi armati fino ai denti». Fiorentini scende dalla bicicletta sul lungotevere che è leggermente rialzato rispetto il portone del carcere e lancia uno «spezzone» (una bomba) sul camion dei militari tedeschi. Risale in bicicletta e cerca di allontanarsi mentre dalle finestre del carcere gli sparano varie raffiche di mitra. «Pedalavo come un ossesso e arrivai alla fine del ponte a tutta velocità». Riesce a schivare i proiettili dei nazisti ma anche un tram, la «circolare nera» che sta per investirlo. Si rifugia in una libreria di un compagno, Fernando Bertoni. «Entrai senza dire una parola. Ero cadaverico… mi sedetti in silenzio e Fernando mi prese un bicchiere d’acqua. Lo bevvi e uscii». Dopo molte azioni, senza che Kappler riesca ad arrestarlo, entra a far parte di una formazione partigiana nella zona di Tivoli, Castel Madama.

Dopo la liberazione della capitale nel 1944, Fiorentini vuole continuare a combattere il nazifascismo. Viene paracadutato dagli americani nel Nord occupato per organizzare la Resistenza nel triangolo Piacenza, Parma, Genova. Arrestato dai nazisti fugge rocambolescamente dal carcere milanese di S. Vittore.

Nel dopoguerra non accetta di fare il deputato o il senatore; per un salario da fame, per lunghi anni si è occupato di ricostruire i ruolini e le biografie degli appartenenti alla Resistenza nel Lazio. Dopo aver concluso il suo incarico, la sua vita svolta nuovamente. Si laurea in matematica, svolge studi di valore internazionale su algebra commutativa e geometria algebrica. Insegna per anni all’Università di Ferrara, di Montreal e all’MIT di Boston. Il suo ultimo lavoro scientifico Zero Uno infinito lo ha scritto con Ennio Peres nel 2018, quando ha compiuto cento anni. È un saggio sul meraviglioso gioco dei numeri.

Vedi anche l’intervista di Fabrizio Rostelli a Mario Fiorentini su Alias del 4/11/2017

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento