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Mario Andreose tra editoria e letteratura

Mario Andreose tra editoria e letteratura

Il libro «Voglia di libri», da La Nave di Teseo

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 27 febbraio 2021

Nella quarta di copertina del libro (pp.235, euro 18,00) l’autore non esita a guardare in macchina con la sicurezza del capitano di lungo corso, abituato da anni a navigare nelle acque tempestose dell’editoria, tra una puntata alla «Buchmesse» di Francoforte, alle fiere del libro di New York, Londra, Gerusalemme, al Café de Flore, il suo «ufficio» di Parigi, chiuso da poco come la gloriosa libreria La Hune a Saint-Germain-des-Prés, dove si trovava quello che non c’era da nessun’altra parte. Se comincia come correttore di bozze al Saggiatore di Alberto Mondadori, che cerca di sottrarsi all’ombra incombente del padre Arnoldo – dove incontra Giacomino Debenedetti, il grande critico a cui si deve l’intreccio tra scienze umane, psicoanalisi, antropologia che caratterizza la nuova sigla – consigliato da Erich Linder, il potente agente letterario, arriva alla guida del Gruppo Fabbri, dove fa in tempo a imparare il difficile mestiere dell’editore da Valentino Bompiani nello studio del presidente onorario pieno di ritratti di Zavattini, Alvaro, Moravia, Brancati, Saint-Exupéry, Steinbeck, Camus, i «suoi» autori. Spericolato ammiratore delle imprese impossibili, s’imbarca nella collana «Il pensiero occidentale» diretta da Giovanni Reale in un momento in cui, con la crisi del mercato a rate, prestigiose collane di classici chiudono, riuscendo a pubblicare una ventina di titoli all’anno, da Aristotele a Platone, da Seneca a Agostino.

Se gli è andata bene con la filosofia, gli va ancora meglio con l’arte, di cui è appassionato, soprattutto da quando nell’86 comincia l’avventura di Palazzo Grassi, il salotto degli Agnelli, con la grande mostra «Futurismo & Futurismi», destinata a concludersi vent’anni dopo con «Salvator Dalì». Nel frattempo aveva visitato con i curatori di turno i musei di mezzo mondo per accompagnare le esposizioni con altrettanti, preziosi cataloghi che uscivano contemporaneamente anche in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti con notevole successo. Ma il terreno d’elezione di chi lavora nell’editoria è naturalmente la letteratura, non solo i grandi di ieri che fanno catalogo, da Mann a Gide, da Fitzgerald a Faulkner, da Hemingway a Wolfe, ma anche i nuovi americani come Saul Bellow, che battibecca con Susan Sontag con tremende battutacce: «Le donne mangiano insalata e bevono sangue».

Senza mai dimenticare Patricia Highsmith, la regina del noir esistenziale, che nei primi anni Novanta aveva incontrato a casa sua in un angolo sperduto del Canton Ticino, lei e i suoi gatti, non riuscendo a vincere la diffidenza della texana in esilio che scrive di uomini e donne come un ragno scriverebbe di mosche, ma avvertendo proprio lì tra la cucina e il soggiorno quel mondo claustrofobico nel quale si entra ogni volta con un senso di pericolo personale, come sostiene Graham Greene. Quanto agli italiani, il più trasgressivo è Pier Vittorio Tondelli che con «Rimini» fotografa gli anni Ottanta quando non si sapeva ancora dove si stava andando ma ci si arrivava a grande velocità.

La saggistica d’autore ha un posto a sé nella sua biblioteca ideale soprattutto quand’è fuori dal canone come «Tristi Tropici» («Odio i viaggi e gli esploratori», ricordate?) di Claude Lévi-Strauss che, rimasto a lungo nei cassetti di Einaudi dopo la chiusura della collana viola, esce finalmente dal Saggiatore con l’impatto folgorante di una bomba in un tappeto volante, tra la scoperta del Nuovo Mondo e i sopralluoghi fra gli indiani Nambikwara. Se la sua fedeltà a Alberto Moravia, confermata dagli innumerevoli incontri di lavoro in cui qualche volta i silenzi superavano le parole, è fuori discussione, sono felicissimi i ritrattini di Livio Garzanti, Luciano Foà, Inge Feltrinelli, Enrico Filippini, mentre aleggia tra tutti lo spirito irriducibile e mercuriale di Bobi Bazlen, il misterioso incantatore di affinità letterarie. Il sodalizio più duraturo è stato forse quello che questo veneziano curioso e diplomatico ha intrattenuto nel corso degli anni con Umberto Eco, di cui è stato a lungo l’editore (anche l’editor?) sia negli anni battaglieri della semiologia sia quando i colleghi dell’accademia storcono il naso di fronte al debutto del romanziere con «Il nome della rosa» e ancora di più di fronte al suo trionfo mondiale.

Quando si profila la secessione dalla Mondadori che ha acquistato la Rcs Libri, sarà Umberto che per la nuova casa editrice – con Elisabetta Sgarbi direttore editoriale e Mario Andreose presidente – suggerisce il nome: La nave di Teseo, ispirato a una pagina di Plutarco sulla volontà degli ateniesi di mantenere inalterata l’identità del vascello, anche se costruita di pezzi diversi.

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