«Dobbiamo stringere un nuovo patto con la città, ma Roma deve sentire che abbiamo la determinazione per portare a termine il lavoro iniziato, un lavoro epocale. Sono sicuro che nel 2023 consegneremo una città cambiata, una città al livello di una Capitale europea». Insiste, Ignazio Marino. Ormai ha cominciato a correre da solo, come Forrest Gump, altro che il replicante di Blade Runner, citato la sera prima alla Festa dell’Unità dove ha incassato l’ovazione dei militanti dem infuocando gli animi con un efficacissimo one man show.

Il sindaco ieri sera ha tentato il bis con i 29 consiglieri che fin qui lo hanno sostenuto in Campidoglio, convocati a Palazzo Senatorio davanti alle telecamere che per la prima volta hanno trasmesso la riunione in diretta streaming. Ed è di fatto riuscito a portare a casa il ricompattamento della maggioranza del governo cittadino, appena poche ore dopo le dimissioni – non ancora formalizzate – del suo assessore alla Mobilità.

Guido Improta, renziano di ferro, se ne va però in punta di piedi, approfittando del momento politico “giusto” per lui, malgrado la decisione covasse da tempo, almeno da quando il suo nome comparve nelle intercettazioni dei pm fiorentini nell’inchiesta «Sistema» e in quella della procura romana sulla metro C: «La mia esperienza era a termine e questa era noto – ha affermato ieri non appena confermata la notizia delle imminenti dimissioni – tempi e modalità della mia uscita dalla giunta sono prerogativa del sindaco e del Pd e mi atterrò alle decisioni che verranno assunte. Sono a disposizione per gestire al meglio, senza creare problemi a nessuno».

D’altronde che in poche ore l’aria sia cambiata di nuovo – dentro al Nazareno e a Palazzo Chigi – e spiri ora a favore delle vele di Marino, lo si capisce dal cambio di mood di Rosi Bindi che solo qualche giorno fa aveva suggerito al sindaco di dimettersi («Vedremo la relazione del prefetto di Roma – ha detto ieri la presidente della commissione antimafia – dopodiché sarà il sindaco a prendere le sue decisioni»), e dalle parole di Roberto Speranza che esorta il Pd a decidersi per una buona volta se vuole sostenere la giunta di Roma oppure affossarla: «Quello che non è accettabile – dice – è una situazione un po’ strana in cui Marino finisce per diventare figlio di nessuno».

Forse proprio il fatto di essere figlio di nessuno, forte delle «migliaia di persone che si sono collegate on line» per seguire gli sviluppi del governo della città, permette però al sindaco dem di chiedere ai consiglieri della maggioranza da che parte vogliono stare: «Va moltiplicato lo sforzo di collaborazione tra consiglio e giunta, ma voglio vedere volti sorridenti e persone che ci credono – dice – Perché noi non siamo stati eletti dai capibastone ma dai cittadini». Marino ripete il contenuto del discorso barricadero della sera prima, eliminando ovviamente quella frase – «tornate nelle fogne», rivolto alla destra – che gli è costato molte critiche, da Alfano ma perfino da Sel, o la rivelazione delle richieste di assunzioni che gli avrebbe rivolto l’ex sindaco Alemanno facendo addirittura riferimento a un supposto patto con il Pd, accusa che gli è costata una querela per diffamazione.

I consiglieri rispondono, interagiscono, gli forniscono – come nel caso del capogruppo di Sel, Gianluca Peciola, o del Radicale Riccardo Magi – un lungo elenco di priorità, di problemi non più rinviabili su cui dare un segno immediato e tangibile di cambiamento. Sel in particolare chiede a Marino però anche di condurre una battaglia esplicita contro la politica del governo Renzi che «da una parte toglie risorse agli enti locali» e dall’altra gioca ambiguamente con gli equilibri politici della città. Anche tra i consiglieri Pd c’è chi mostra qualche remora alla blindatura totale richiesta dal sindaco.

Athos De Luca, per esempio: «Tu dici 2023? Fermiamoci intanto al 2018, e cerchiamo di raggiungere due o tre traguardi importanti che fissiamo ora». Il capogruppo Pd e coordinatore della maggioranza, Fabrizio Panecaldo, chiede di comunicare di più e meglio «tutto il buon lavoro che stiamo facendo». Ma una cosa è chiara, almeno per ora: la maggioranza è coesa, e fa quadrato attorno al sindaco.

D’altronde ieri per certi versi è stata la giornata della ritrovata unità, almeno apparente, per il Pd, malgrado la relazione di Fabrizio Barca sul partito romano e la chiusura dei circoli “cattivi”, quelli che coltivavano «potere per il potere», abbia innescato molte reazioni rabbiose. Dal Senato in giù, però, fino al consiglio regionale e ai municipi, il partito si è ricompattato esprimendo con una sola voce la solidarietà unanime al presidente dem Matteo Orfini messo sotto scorta per via del suo lavoro di bonifica del territorio e del partito dalle infiltrazioni della mala locale.