«Sembra un film» si potrebbe dire della vita di Marina Cicogna Volpi di Misurata. E forse qualcuno un giorno ne farà un biopic per raccontare un pezzo di storia del cinema italiano attraverso l’intreccio delle sue vicende personali. In tempi recentissimi di lei si era tornato a parlare, spesso attraverso la sua stessa testimonianza, per ricordarla, ancora in vita, come una delle prime produttrici cinematografiche non solo italiane. Così viene raccontata nel documentario di Andrea Bettinetti Marina Cicogna – La vita e tutto il resto (2021). A me, in occasione di un’intervista nella sua casa romana, disse che per lei funziona l’appellativo producer, ammiccando tanto al neutro grammaticale quanto al ruolo di mediazione creativa di tradizione statunitense con cui, forse, si sentiva più in linea. Dai suoi racconti, sebbene spesso rivolti al mito di un passato glorioso, possiamo partire a pochi giorni dalla sua scomparsa.

Bettinetti la riprende affacciata a uno dei balconi dell’Hotel Excelsior mentre guarda la spiaggia del Lido: «Lì ci sono le prime venti cabine a destra…erano le cabine privilegiate. Erano le uniche cabine su cui una volta cresceva l’ibiscus . Questo mio amico simpaticissimo che era il manager dei Rolling Stones, il principe Loewenstein, diceva che quello era l’Ibiscus Set. Che poi è lì che Onassis ha conosciuto la Callas e dove stava la mia nonnastra Volpi. Quella era la zona degli amici».

La scelta della location non è casuale: l’Excelsior è stato uno dei luoghi della sua vita pubblica e privata. Suo nonno, il Conte Volpi di Misurata, gerarca fascista e primo governatore della Tripolitania, fondò su quella spiaggia la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 1932 (allora Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica) con l’obiettivo di risollevare il turismo ricettivo di lusso e la clientela d’élite in seguito alla recessione. Volpi era consigliere di uno dei maggiori gruppi mondiali operanti nel settore alberghiero di alto livello e la Mostra fu dunque il risultato di un lavoro di lobby che trasformò quell’Hotel in un luogo iconico del cinema internazionale.

La famiglia Volpi continuò poi a investire nel cinema senza una particolare passione per l’oggetto in sé rilevando la Euro International Films, tra le prime società italiane di allora nella distribuzione. Siamo negli anni Sessanta e sul finire del decennio anche Marina e il fratello Ascanio iniziano a farsi strada come produttori dall’interno della società di famiglia.

Sono pochi anni ma di intensa attività per i due fratelli: Ascanio amministra varie società, producendo spesso con il sostegno delle grandi compagnie americane – come la Paramount per C’era una volta il West di Sergio Leone – mentre Marina, la cui educazione informale era avvenuta frequentando casa Warner e produttori del calibro di Selznic, immagina una diversa politica culturale in cui ricoprire lei stessa il ruolo di mediatrice dei processi economici e culturali che intervengono durante la storia produttiva di un film. Punta così alla legittimazione di alcune scelte distributive e produttive non convenzionali che contribuiranno al successo del cinema d’autore italiano su scala internazionale.

Marina Cicogna è una figura chiave per inquadrare il cinema come grande famiglia, il cinema degli amici, ma anche quel cinema di grande libertà espressiva, politico e attuale «suo malgrado», come lei stessa diceva riferendosi all’impatto di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, uscito all’indomani della strage di Piazza Fontana.

Per il film di Petri ottenne il David di Donatello per la miglior produzione nel 1970 insieme a Daniele Senatore, a cui fece seguito l’Oscar. Nessuno andò a ritirarlo ma questa è storia nota.

Per quanto il suo ingresso nell’industria cinematografica confermi una volta di più quell’organizzazione familistica che da sempre ne regola le sorti – al suo esordio il saggista e storico del cinema Riccardo Redi la definì «nobildonna lombardo-veneta figlia della grande industria e del grande capitale» – non è possibile eludere la grande forza simbolica legata al suo ruolo pioneristico nell’industria cinematografica. Inizia alla Euro come consulente per la distribuzione italiana di film esteri: Bella di giorno di Luis Buñuel, L’uomo del banco dei pegni di Sidney Lumet, Helga di Erich F. Bender – un documentario cosiddetto «sessuologico» di enorme riscontro economico e impatto culturale – sono alcuni dei titoli della stagione 1967-68 a darle la credibilità cercata. Prosegue poi come produttrice legata al cinema d’autore e «di qualità» negli anni in cui il cinema italiano raggiunge uno dei suoi picchi produttivi e commerciali prima del successivo declino. Metti, una sera a cena di Patroni Griffi, coprodotto insieme a Giovanni Bertolucci nel 1969, è il suo primo progetto e il trampolino di lancio per la futura diva Florinda Bolkan, a lungo anche sua compagna di vita.

Da allora Cicogna costruirà una rete professionale di presenze prestigiose e innovative nella scena cinematografica italiana e internazionale tra cui Elio Petri (La classe operaia va in paradiso), Pier Paolo Pasolini (Teorema), Lina Wertmüller (Mimì metallurgico ferito nell’onore), insieme a uno star system cosmopolita che, oltre a Florinda Bolkan, comprende Mariangela Melato, Terence Stamp, Gian Maria Volonté.

Con Giovanni Bertolucci, Franco Rossellini, Daniele Senatore, Marina Cicogna avvia un progetto estetico anche visionario, coltivando così l’immagine della produttrice creativa. Tra il 1968 e i primissimi anni Settanta, la Euro diventa una delle distribuzioni-guida del mercato nazionale e una delle Major Companies sul piano internazionale. Ma è del dicembre 1971 la notizia del suicidio di Ascanio, trovato morto nella casa di Rio de Janeiro, a cui segue un cambio di rotta della società e il progressivo abbandono del campo da parte di Marina.

Falliranno le sue intenzioni di produrre Il conformista e Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, Il Portiere di notte di Liliana Cavani e si limiterà a produrre due film di De Sica (Lo chiameremo Andrea, Una breve vacanza) e Il comune senso del pudore di Alberto Sordi, in cui figura anche come attrice nel quarto episodio. Abbandonerà poi anche l’Italia senza farne più ritorno in veste di produttrice. Negli anni Ottanta, quando il «suo» mondo culturale è ormai già tramontato, tornerà a lavorare alla selezione dei film per il finanziamento ministeriale. Scrittrice e anche fotografa, persona di grande fascino e produttrice di enorme intuito, Marina Cicogna è stata un’acuta «intermediaria culturale», capace di gestire il difficile rapporto tra valore espressivo ed esito commerciale di un’opera.

Oggi, la Mostra del Cinema, luogo in cui la sua sensibilità è stata educata, potrebbe forse intitolare a lei, scomparsa il 4 novembre scorso, e non più al nonno, la celebre Coppa. Un modo per fare i conti con la (propria) storia, l’occasione per dimostrare la sua stessa volontà di cambiare.