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Marina Abramovic nelle Langhe

Marina Abramovic nelle LangheMarina Abramovic, «Holding the milk» ad Alba – Foto di Bruno Murialdo

Performance L'artista incontra la cittadina di Alba, invitata dalla famiglia Ceretto. «Ho ritrovato il percorso del dolore in molti luoghi che ho raggiunto cercando input per la mia arte, anche in mezzo agli sciamani»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 28 ottobre 2017

È strano l’impatto di Marina Abramovic con il mondo. Non si tratta più soltanto di un’artista, performer e quant’altro: l’effetto Abramovic, ormai, travolge il lato sensoriale, affettivo, emotivo del pubblico: lo ha dimostrato quando è arrivata in Langa, dove la famiglia Ceretto – importanti produttori di vino piemontesi – è riuscita a portarla. Il sangue che scorre nelle Langhe non è indolore, ma frutto di decenni di lotta – anche culturale – per riuscire a farne qualcosa non solo di buono ma di sublime. Dal Dolcetto al Barolo, passando per il Nebbiolo e l’inarrivabile Barbaresco, il fiume rosso di Langa è copioso, inarrestabile, a tratti divinizzato. Quanto hanno saputo fare alcune grandi famiglie – i Ceretto sono tra i pilastri di passato, presente e futuro – merita di ricadere anche su altri. Almeno, questo è ciò che pensano, ripercorrendo una tradizione tendente alla filantropia inaugurata dai Ferrero e che piace anche agli albesi.

ULTIMAMarina Abramovic THE KITCHEN V-Carryng the Milk - Video installation color 2009 bassa
Quando si pensa a una forma di gratitudine e di ricaduta economica, l’investimento artistico non è così immediato. Non in Italia, dove arte e perdita sono sinonimi. Trascinare un’icona assoluta come Marina Abramovic ad Alba, che sarà pure la capitale del tartufo ma è sempre un luogo al di fuori dei grandi circuiti, è un atto di coraggio. Il pubblico, davanti a lei, ha vissuto anche momenti di rabbia, indispettito dalle misure di sicurezza necessarie alla sua presenza. Se non irraggiungibile, Abramovic non è stata una performer alla portata di tutti. Il Coro della Chiesa della Maddalena – dove il video Holding the Milk tratto dal lavoro Kitchen incentrato su Santa Teresa d’Avila resterà fino al 12 novembre – è piccolo e la calca all’inaugurazione era imponente. Lei è salita su una sedia e si è «donata». Ma per la lecture del giorno dopo non è stato possibile fare eccezioni. La parte antica del piccolo Teatro Comunale è stata l’unica adibita a quella sua narrazione. Niente schermi all’esterno, né video posteriori, un vuoto che gran parte del pubblico non ha apprezzato.

Per Abramovic è stato importante comunicare non solo il suo lavoro, lungo e articolato, quanto l’attuale significato catartico ed esistenziale che scaturisce dall’applicazione su di sé degli esercizi performativi che propone. L’energia e la pace mentale fanno parte delle opere d’arte, sostiene, ed è una definizione maturata attraverso l’esperienza del dolore. «Ho sempre bisogno dell’energia del pubblico che mi dia il coraggio. È qualcosa che ognuno può sperimentare. Ho ritrovato il percorso del dolore in molti luoghi che ho raggiunto cercando input per la mia arte, anche in mezzo agli sciamani. Il male è l’esperienza che temiamo di più, ma quando apri quella porta e vi entri e capisci che il dolore può essere controllato, è lì che attraversi il muro».

Il riferimento immediato è alla sua biografia Attraversare i muri edita da Bompiani. Il cuore del messaggio è volto all’attraversamento del proprio limite e alla possibilità concreta di superarlo attingendo alla propria forza, «la luce arriva sempre da dentro». Racconta poi Abramovic le sue performance più significative, da quelle con Ulay a quella famosa a Napoli negli anni Settanta, in cui rischiò perfino di essere uccisa da un colpo di pistola che lei stessa aveva messo, carica, a disposizione degli spettatori.

«Ero giovane e sciocca ma ho sperimentato che il pubblico ti salva sempre». Narra anche l’esperienza commovente della performance al MoMA cui hanno assistito 850 mila persone, un record assoluto per qualunque artista. Un’esperienza che ha cambiato tutto, laddove lo strumento dell’amore incondizionato ha sostituito gli oggetti taglienti dei primi tempi, «è stato toccante in un modo che non riesco a spiegare. Ho compreso che il mio compito d’artista era mettermi al servizio degli altri». «Le idee da cui parto non sono nulla di speciale. Sono semplici – sostiene ancora – Ciò che le caratterizza è l’assolutezza del presente. Il qui e adesso. Può succedere qualsiasi cosa, ma dobbiamo considerare il presente come se fosse un miracolo. Aggiungete il concetto della morte alle vostre vite e ne godrete infinitamente di più». Si ha una grande necessaità di arte, nelle città soprattutto, dove c’è bisogno di natura e di creare ponti tra le persone, tra le religioni, le varie etnie e non c’è natura che possa aiutare. «Ho sempre creduto che l’arte possa avere risvolti etici e politici, che debba riguardare la bellezza e predire il futuro. E deve disturbare. Solo così avrà lunga vita».

SCHEDA

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Alla fine della sua «lecture» al Teatro Sociale di Alba, Marina Abramovic ha sfoderato il suo sorriso migliore di fronte a un dono « terra terra». Dopo un’intensa digressione d’arte è stato un bel tartufo bianco a riportare tutti al loro posto. Compresa lei, che già la sera prima era stata acclamata anche in tavola dal divino chef Crippa del ristorante Duomo di Alba.
Cinque piatti iconici come le cinque opere che celebravano. The Onion, ovvero cipolla cruda sfogliata e polvere di zucca; Golden Mask ovvero fusilli, calamaro, patate e foglia oro; Balkan Baroque ovvero ossa di coniglio glassate in purè di olive e carne cruda; Portrait with Scorpion (closed eyes) ovvero scorpione di liquirizia e lime; Counting the rice ovvero riso soffiato e crema di nocciola. Pare che Abramovic, raffreddata, non abbia consumato le delizie ma che ne sia rimasta toccata e commossa. La 87/sima edizione della Fiera del Tartufo delle Langhe è fortemente imperniata sul tema del design, tutto concentrato, e non poteva essere altrimenti, sul tagliatartufo. Non a caso il claim della manifestazione è «Tagliato per il design» ed è interessante il risultato di un progetto, durato due anni e sfociato nella mostra Truffle in cui quindici designer invitati da Alessi hanno concorso ragionando sull’oggetto del desiderio. Il progetto vincitore è di Ben van Berkel e verrà messo in produzione dall’azienda.
Fino al 26 novembre, poi, all’interno della chiesa di san Domenico si terrà la mostra Le colline davanti. Viaggio nelle terre di Langhe, Roero e Monferrato, una personale di 85 opere di Tullio Pericoli, mentre fino al 3 dicembre la chiesa di San Giuseppe ospiterà l’esposizione dedicata al protagonista della Transavanguardia Enzo Cucchi dal titolo Enzo Cucchi dalle Collezioni del Castello di Rivoli. È la prima di una serie di collaborazioni tra Rivoli e la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo per la promozione del territorio cuneese.
In ultimo, in calendario c’è anche la moda. Il Gruppo Miroglio festeggia settant’anni anni e con l’occasione ospita una collezione di venti abiti realizzati con stampe e grafiche degli anni Cinquanta, reinterpretate in chiave moderna

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