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Marilù Parolini, l’immagine latente

Marilù Parolini, l’immagine latenteSequenza: Marilù Parolini intervistata da Morin in «Cronique d’un été» (1961) di Jean Rouch e Edgar Morin

Nouvelle vague Quando la fotografa di Godard, Rivette e Truffaut arrivò a Campo de' fiori...

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 18 novembre 2023

Per una combinazione di caso e fotografia al 54A di via dei Cappellari ci siamo ritrovati a vivere in tre fotografi, anzi quattro Fausto Giaccone, io, Carla Morselli e Maria Ludovica (Marilù) Parolini, nata a Cremona il 18 settembre 1931. Vivevamo in tre piccoli appartamenti vicini, io e Marilù una porta difronte all’altra al secondo piano, Fausto al primo. Un periodo che non chiudevamo le porte di casa e neanche il portoncino in strada, non è che i ladri non c’erano ma vigeva un certo rispetto di malavita d’onore tra i residenti. All’inizio degli anni 70 Campo de Fiori aveva ancora una sua anima popolare e calamitava frequentazioni internazionali di artisti, scrittori e registi.

I luoghi di incontro erano diversi e inaspettati gli incontri di vita quotidiana, prima della gentrificazione dei decenni successivi. Di turismo ce n’era poco ma l’atmosfera che si respirava era internazionalmente normale. La mattina ci si incontrava al mercato, c’era ancora qualche osteria, solo due o tre erano i bar in piazza, ma era il vinaio di Giorgio Reggio il punto di incontro e il cinema Farnese ogni sera proiettava un nuovo film d’essai. Via dei Cappellari dall’altra parte della piazza si allungava sotto l’Arco in una depressione, una specie di budello come diceva Marilù, e lei si era sistemata lì quasi rifugiata. Come ricorda una targa al numero 30 è nato Pietro Matastasio, nei sogni e nelle favole delle quali scrive Emanuele Trevi.

Marilù in un posto così diverso da Parigi ma non troppo dal Quartiere Latino, sul confine dei rioni Parione e Regola dei vari mestieri artigiani, era profondamente sensibile di umanità ed è diventata amica di tanti. Non è che Roma come diceva proprio le piacesse, ma lei era amata da tutti, in una vita quasi di paese, rispettosa delle differenze sociali e delle amicizie che si creavano. Da Lando il rigattiere ad Augustarello il falegname che ogni anno faceva un grande presepe d’arte e ogni sera andava in chiesa, che per lui era l’osteria di via Sora. Due portoni più in là ci abitava Citto Maselli, anche Janine sua grande amica con il pittore Pupino Samonà, Laura Betti stava all’angolo con via Montoro e i Banchi Vecchi. Sotto casa nostra c’era il negozio deposito degli spacci di Marisona, che si affacciava dalla finestra di fronte dove abitava per spennare i polli del mercato, in tutti i sensi. Non so quanti quadri di Mario Schifano sono passati da quel magazzino, semplici disegni ma anche opere di grande pregio, acquistate da Marisona o verosimilmente scambiate con sostanze molto stupefacenti. L’ambiente era comunque piuttosto rilassato e Marilù si era calata in amicizia con tutti.

Da noi al 54A di via dei Cappellari passavano in molti. Cinema, fotografia e umanità in cronaca erano i nostri argomenti. Stavros Tornes girava il film Coatti per la San Diego di Roberto Rossellini, Marilù si vedeva con Jean Marie Straub e sua moglie Danièle Huillet e di nuovo interpretò se stessa nel film Tout la revolution est un coup de dès che girarono nel 1977. Tra i fotografi amici che venivano da noi c’erano Mario Dondero, Romano Martinis, Tano D’Amico, Gino Ferri, Mario Orfini, Aldo Bonasia. C’era Adriano Mordenti, Gabriella Mercadini abitava proprio a Campo de Fiori, c’erano Attilio Cristini, anche Sandro Becchetti che abitava all’Esquilino e Paola Agosti che stava alle Mantellate.

Anche a casa di Marilù c’era un certo via vai, con Janine si vedevano spesso, anche con Alain Denis (disegnatore storico su Repubblica e cuoco) e con alcune sue amiche di Parigi che la andavano a trovare, forse anche le sue «sorelline» Juliet Berto e Anne Wiazemsky. In ogni caso non erano tempi molto facili, anche se prima del piombo degli anni successivi sembrava che ancora si potesse fare una vita di comunità. Però la sera in via dei Cappellari era sempre buio pesto e lei durante una manifestazione di extraparlamentari è stata presa a manganellate dai celerini, sull’angolo di Campo de Fiori dove si era affacciata per guardare cosa stava succedendo.

Le giacche e camice awaiiane di moda le trovavi nel negozio di Mario Tozzi a Campo de Fiori, che ogni lunedì partiva per Prato dove andava a procurarsi le balle dei vestiti che arrivavano dall’America. Il vinaio di Giorgio e Roberta già la mattina era frequentato dai residenti locali ma verso sera ti ritrovavi in Vineria in un ambiente internazionale tra poeti, attori, pittori e varia umanità. Magari con la poetessa Amelia Rosselli o Fabio Garriba (attore), Victor Cavallo (attore e poeta), Roy Zimmerman (musicista), Alvin Curran (musicista), Tonino Caputo (pittore), Gianfranco Fiore (regista), Valentino Orfeo (teatro L’Orologio), Alberto Grifi (regista cinema sperimentale), Alessandra Vanzi (attrice), Simone Carella (regista teatro), Robertino De Angelis (poeta), Sandro Figurelli (primo videomaker), Aldo Braibanti (poeta intellettuale). Senza appuntamenti ti ritrovai in Vineria con amici e intellettuali in campo come Francesco Belvederi (pittore muratore), Paolo Scabello (grafico di Lotta Continua), Barbara e Paola Vassarotti (stilista), Graziella Scotese (pittrice), Adriano Gangi (operatore cinema) Mimmo Cioffarelli (insegnante di cultura italiana a Parigi). Naturalmente c’era Massimo de Feo (giornalista) e suo fratello Gianni (antropologo etrusco apache).

Al bar di Corso Vittorio potevi incontrare Glauber Rocha e alla Cancelleria Manrico e Roska Oskardottir con Carletto Duca e Teresa. Cavallo Pazzo alias Mario Appignani lo vedevi attraversare a grandi falcate corso Vittorio verso i vicoli underground del rione. Ma non era tutto rose e fiori, sulla cronaca di Roma c’è pure finita la bellissima modella americana Donyale Luna che abitava all’inizio dei Cappellari. Wikipedia dice che è morta per overdose di eroina all’ospedale, ma sul Messaggero c’era scritto a causa di una fuga di gas che dalla strada si infiltrava nel suo appartamento. Tragica anche la scomparsa nel 1980 di Italo Toni e Graziella di Palo, partiti per fare una inchiesta su armi e profughi palestinesi in Libano, di loro non si è saputo più niente.

Come diceva Marilù però Roma non le piaceva molto e quando poteva anche in inverno andava a Sperlonga dove vivevano dei suoi amici pittori e scrittori, erano lì da tempo, arrivati da NY, San Francisco e Parigi, via Amsterdam. «From almost everywhere» come era intitolata la raccolta di poesie di Franco Beltrametti. Con Jean Gian e Rita degli Esposti pubblicarono un libro/rivista dal titolo Sperlonga Manhattan Express.
Gran parte del tempo Marilù se ne stava a casa, dormiva di giorno, usciva la sera e mangiava poco, a parte qualche cena alla Pollarola invitata da amici. Ricorda Silvana Abbrescia che vive a Berlino: «..rientrava in un’alba tutta azzurra sbatacchiando i tacchi alti sul selciato e canticchiando nel silenzio con una lunghissima sciarpa alla Isadora Duncan che le svolazzava al collo».. Di sciarpe di Marilù ricordo quella coloratissima che anni dopo portava Gregory Corso che per qualche mese era venuto a vivere ai Cappellari. Continua Silvana: «Entrò nella cooperativa di cinema (solo donne) che avevamo fondato, e partecipò ad un film che producemmo per Rai 2. È sua voce che interpreta e traduce, in italiano dal dialetto emiliano stretto, le povere commoventi parole di umanità e ideali di una anziana donna della bassa pianura padana (il doc. è su Youtube: 8 Marzo 1977 (giorno di lotta e di festa, lo sciopero delle madri) di Silvana Abbrescia e Anna Brasi, con Rosetta Froncillo, Paola Muzzi (montaggio) e altre femministe militanti di Roma. La produzione si chiamava Arcobaleno, ma quella deve essere stata l’unica partecipazione di Marilù al femminismo».

Di là da ponte Sisto a Trastevere viveva Bernardo Bertolucci con il quale era legata da una grande amicizia e collaborazioni cinematografiche. Sua la sceneggiatura con Eduardo De Gregorio della Strategia del ragno (1970), e la fotografia di scena in Partner(1968), Novecento (1978) e La Luna (1979).

Era arrivata da sola a ventisette anni da Cremona, «Come arrivo a Parigi, siamo nel 1957, avevo soltanto alcuni nomi di compagni anarchici e trotzkijsti su cui fare affidamento. I miei primi passi furono esitanti: sono giunta a Parigi il 14 luglio, il giorno della Bastiglia, con un senso della storia pazzesco, dappertutto gente che ballava per le strade. Non mi sarebbe dispiaciuto fare un’esperienza operaia. Ma non avvenne: da principio finii alla Camera del commercio italiana, come segretaria. Poi sono andata ai Cahiers du cinéma. Fortuna immensa: lì ho conosciuto tutti, tra cui Agnès Varda, da dove ha preso avvio la mia attività di fotografa. Lì inizia davvero la mia esperienza nel cinema».

Marilù aveva trovato lavoro ai Cahiers dove faceva la segretaria. Il direttore in quel periodo era Eric Rohmer. «Una rivista di tremila copie al mese, era riconosciuta come… come dire… il tempio del cinema, e i giornalisti si chiamavano Jean-Luc Godard, François Truffaut, Chabrol… beh… tutta la Nouvelle Vague. Facevamo noi stessi la rivista, e avevamo la stampatrice, con gli indirizzi, con le placchette, quindi facevamo… che ne so… tremila buste, e poi la portavamo noi stessi nel quartiere». (*dal documentario di Irene Pozzi Marilù l’amica delle rondini).

In quel periodo si legò in una lunga amicizia con Jean Rouch e Edgar Morin e nel loro film documentario sperimentale Cronique d’une été (1961) interpretava se stessa in primissimo piano, esponendosi completamente con le sue emozioni e raccontare la sua vita interiore.

Agnes Varda le regala una Rolleiflex 6×6 biottica e Marilù inizia la sua carriera di fotografa. Per Varda è fotografa di scena nel Les Crèatures (1966), con Francoise Truffaut La marrièe ètait en noir nel 68. Nei film di Pier Paolo Pasolini ha fotografato Teorema nel 68 e Porcile nel 69.

«Ma perché io non ho niente? Non ho un negativo, non ho una fotografia… I negativi se li prendeva la produzione: pensa te che mostra avrei potuto fare essendo stata l’unica fotografa di Godard».

Infatti se cerchi su Google di fotografie della Nouvelle Vague ne trovi parecchie ma firmate da Marilù Parolini solo due o tre. Come diceva lei, «io non ho niente». I credits delle fotografie sui vari articoli sono del tipo: Les Films des Losange, Simar, Anouchka, Rex, Shutterstock, Ano, Athos, Kobal o Team Editorial Services, fotografie che invece sono quasi tutte sue.

Nel 1969 Marilù è regista del film Aussi que mon enfance (1969) ambientato a Roma, con Bulle Augier, sulle orme del «Cinema veritè» di Jean Rouch. Il film è probabilmente conservato alla Cinémathèque française. Dicono di lei: «Marilou dynamite, lei è l’unica tra tutti a intendere questo esercizio di cinema verità come un invito a rivelare la propria verità, quella più profonda, quella meno dicibile».

Di Jean Luc Godard Marilù Parolini ha proprio fatto la fotografa di scena di molti dei suoi film: Vivre sa vie nel 1962, Une femme mariée (64), Montparnasse-Levallois: un action film, nel 65 Band à part, Alphaville, nel 66 Pierrot le fou e Masculin Féminin”, nel 67 Made in USA, Deux ou trois choses que je sais d’elle e Week-end. Fotografie molto belle e significative, quando al cinema i fotografi di scena interpretavano le scene anche con punti di vista che non erano quelli della macchina da presa.

Ma è con Jaques Rivette che Marilù ha lavorato di più. Quest’anno al Festival del cinema di Cannes è stata presentata la versione restaurata di L’Amour fou, dopo 54 anni dalla sua uscita nel 1969, con Jean Pierre Kalfon e Bulle Ogier. La sceneggiatura e i dialoghi sono di Marilù Parolini e Jacques Rivette che dice in una intervista: « Un cinema che non impone nulla, dove si cerca di suggerire le cose, di lasciarle accadere, dove è soprattutto un dialogo a tutti i livelli, con gli attori, con la situazione, con le persone che si incontrano, dove l’atto di filmare è parte del film stesso». Insieme hanno negli anni collaborato in Cèline et Julie vont en bateau (74), Noròit (75), Duelle, une quarantaine (76), L’Amour par terre, Hurlevent (85).

Marilù si era sposata due volte. Con Jacques Rivette con il quale ha vissuto tre anni e con Paolo Pozzesi, giornalista di Paese Sera che a Parigi faceva il fotografo e a Roma insegnava all’accademia di costume e moda. A lungo è stata compagna di Edgar Morin, che non ha mai smesso di essere innamorato di lei.
Ancora a Roma negli anni 80 e 90 Marilù viveva veramente con poco, quasi non mangiava, probabilmente si sosteneva con le proteine della birra e le calorie del whisky. Gli scambi culturali internazionali si erano affievoliti, molti degli amici erano scomparsi, emigrati, cambiati e Marilù sempre da sola si ritira alle sue origini e si confronta con la sua salute malmessa e una malattia alle ossa che quasi non la faceva camminare più.

È il tempo che passa e anche le strade si dividono, con Marilù ci siamo visti altre due volte, all’ospedale di Fiorenzuola e nella sua casa di Castel Arquato prima della sua scomparsa.

Nel 2012 è proprio Irene (la figlia di Jean Gian Pozzi e Rita degli Esposti) che realizza il documentario L’amica delle rondini con una lunga e commovente intervista girata nella casa di Castel Arquato dove Marilù era tornata. Irene scrive anche la sua tesi universitaria su Marilù Parolini, delineandone una estesa biografia, ricca di particolari di cinema verità e fotografia. La fotografia che Marilù aveva nel sangue visto che suo fratello più piccolo, uno dei più bravi stampatori italiani di fotografie in bianco e nero, ancora oggi è titolare del rinomato laboratorio fotografico «Camera Chiara» a Milano. L’altro fratello che ogni tanto veniva a Roma era Daniele Parolini, sulle cronache rosa primo «moroso» di Mina, giocatore della Cremonese e poi giornalista sportivo del Corriere della Sera.

Ma è con Edgar Morin, grande filosofo e sociologo, che oggi ha 102 anni, che si può proprio dire che Marilù ha mantenuto un legame nel tempo. Scrive Edgar Morin: «Rividi Marilù a Parigi e a Roma, nel suo appartamentino vicino a Campo de’ Fiori, dove frequentava il suo vinaio. Poi si stabilì in una casa della sua famiglia, in un paese, tra Cremona e Parma, dove visse in solitudine e divenne invalida. Morì nel 2012 senza che lo sapessi».

Io di Marilù ricordo la sua sensibilità, l’ironia e le risate, la profondità di pensieri affettuosi e la bellezza. Per lei a fine secolo nel nuovo millennio, i suoi ultimi dieci anni di ritiro nella sua bassa padana quasi in esilio. Per tutti nel tempo una memoria latente che si rivela.

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