La vicenda artistica di Mariella Bettineschi (classe, 1948) è difficile da restituire interamente in poco spazio ma la sua personale All in One (curata da Paola Ugolini e visitabile alla Triennale di Milano fino a domenica) ha il merito di aprire una finestra sulle origini del suo percorso, partito più di cinquant’anni fa, restituendo così una parte della profondità della sua ricerca. L’artista, dopo un primissimo esordio negli anni 70 e il successivo ritirarsi dalle esposizioni al pubblico per proseguire la sua indagine nella solitudine dello studio, si affaccia sul panorama italiano all’inizio degli anni Ottanta, in un momento di generale ritorno verso i linguaggi tradizionali di pittura e scultura.

BETTINESCHI PERÒ in questi anni lavora a qualcosa di diverso, crea degli oggetti soffici, dei piccoli cuscini bianchi imbottiti, recuperando nella loro realizzazione una sapiente manualità, su cui scrive o disegna a mano libera con l’oro. È la serie dei Morbidi sui quali l’artista rappresenta sinteticamente volti e figure animali oppure scrive frasi come «Dio conta le lacrime delle donne» e «Tenere in ordine la propria vita selvaggia». Quello della fatica dell’essere donna e artista è un tema che la tocca da vicino, in un momento storico in cui era molto difficile vivere pienamente entrambe le esperienze. Il suo impegno femminista nell’arte non ha coinvolto, a differenza di molte autrici dell’epoca, la riflessione sul corpo femminile, il suo sforzo è stato semmai quello di trovare un suo linguaggio, che fosse diverso rispetto a quello che anni di studi e di storia dell’arte, inculcatale a partire da punto di vista maschile, le avevano insegnato. Dopo i Morbidi arrivano poi i Piumari, scatole contenenti delle piume, appunto, e chiuse frontalmente da un velo d’organza che lascia intravedere un’anima mutevole, data dalla mobilità della materia interna. Su queste superfici in tessuto l’artista interviene con il disegno oppure con eleganti elementi filiformi e aggettanti, sempre di color oro. Anche la pittura per Bettineschi non può rispondere ai canoni della tradizione appresa e così a partire dalla metà degli anni 80 inizia a realizzare i Tesori, grandi o piccoli fogli di carta da lucido che vengono cosparsi con catramina e pigmento dorato, in questo modo i fogli assumono una materialità plastica che li irrobustisce e li raggrinzisce rendendoli irriconoscibili, mentre l’oro e le increspature gli conferiscono l’aspetto di misteriosi reperti che potrebbero provenire da un’epoca e una civiltà lontane e indefinite.

UN SALTO TEMPORALE nel lavoro dell’artista (che negli anni 90 ha conosciuto un’ulteriore evoluzione) porta invece alle opere più recenti, quelle di una serie che guarda verso il futuro, come suggerisce il loro titolo L’era successiva. Nati a partire dal 2008, nell’epoca della crisi economica, e realizzati attraverso strumenti digitali di rielaborazione fotografica questi lavori rappresentano ambienti naturali, biblioteche e ritratti femminili. Sulle prime due tipologie d’immagine l’artista interviene con una cancellatura, che sembra quasi una nuvola, un vuoto che dal centro sembra potersi propagare sull’intera scena come a far scomparire ciò che vediamo suggerendo forse anche l’idea di transitorietà. I volti delle donne invece, che sono quelli delle modelle che hanno posato per artisti del passato come Raffaello (Fornarina), Ingres (La grande odalisca), Leonardo (La dama con l’ermellino) e Bronzino (Bianca e Maria de’ Medici), sono rielaborati in modo tale da essere decontestualizzati rispetto all’opera originaria e avere uno sguardo raddoppiato.