Maria Papadimitriou, alla ricerca del paradiso perduto
Mostre Presso la Torre Matta di Otranto, l'artista greca riflette sulla storia e l'iconografia del pavimento musivo del duomo, riconsegnandolo all'attualità
Mostre Presso la Torre Matta di Otranto, l'artista greca riflette sulla storia e l'iconografia del pavimento musivo del duomo, riconsegnandolo all'attualità
Metaforicamente la mostra personale di Maria Papadimitriou presso la Torre Matta di Otranto è un’esplosione fisico-semantica del mosaico medioevale della Cattedrale della città. L’esposizione dal titolo Non existing Paradise (aperta fino al 3 novembre, curata da Gabi Scardi e organizzata dall’associazione Cijaru) nasce dallo studio storico e iconografico del pavimento musivo del duomo otrantino. A partire da questo approfondimento l’artista greca ha messo insieme una stratificata e suggestiva narrazione contemporanea, che risulta essere tale non semplicemente dal punto di vista del linguaggio visivo (che include l’utilizzo di strumenti come l’object trouvé piuttosto che l’impiego del neon per esempio) ma anche per via del racconto rispetto alla condizione attuale dell’essere umano e del suo abitare il pianeta. È come se, grazie al lavoro di Papadimitriou, il mosaico avesse superato la sua bidimensionalità e travalicato i suoi confini temporali per occupare la terza dimensione nello spazio espositivo della Torre Matta e attraversare le epoche facendosi portatore di un messaggio fondamentale per il tempo presente.
LA RELAZIONE dell’artista con la città che la ospita per questo progetto espositivo non è solo intellettuale: i materiali utilizzati sono infatti quelli offerti dal territorio (come la pietra leccese) e le maestranze locali (tra cui ricordiamo le tessitrici dalla fondazione Le Costantine) attraverso cui prendono forma una serie di oggetti/capitoli di un racconto che tende verso un auspicato e salvifico finale comune.
Ci si sposta così all’interno di un insieme di simboli che mettono in discussione l’importanza del sapere odierno a favore di una rinnovata conoscenza universale, basata sull’accantonamento della logica antropocentrica e che affonda le proprie radici nella mitologia e nelle leggende dell’antichità.
GLI AMBIENTI sono popolati da figure ancestrali come Atlante ed Eva (a rivalutare il ruolo della progenitrice femminile) ricamate su due splendide cappe in tessuto realizzate al telaio a mano; animali che s’intravedono accennati tra le forme irregolari della pietra leccese trovata e lavorata solo parzialmente (una balena, un leone o forse una leonessa); esseri ibridi in parte uomini e in parte animali che appaiono visivamente ergendosi solenni al centro della scena oppure vengono evocati dalle sonorità emesse dalla voce registrata e diffusa di Demetrio Stratos. Vi sono poi scene evocative come il richiamo all’Arca di Noè oppure il crollo della Torre di Babele, o ancora, sul finire del percorso espositivo, il richiamo all’albero (memoria di quello che è struttura unificante all’interno del mosaico della cattedrale) attraverso un ramo secco di ulivo colpito dalla xylella fastidiosa, che ormai da anni affligge il territorio salentino. Un elemento questo che colpisce particolarmente e ridesta l’attenzione sul progressivo allontanarsi dell’essere umano dalla natura e sull’inarrestabile antropizzazione a cui gran parte del pianeta è assoggettato.
L’AMMONIMENTO volto a indurci a riconquistare quel paradiso oggi inesistente (come ricorda appunto il titolo della mostra stessa), invita a ritornare a essere parte del tutto pur senza ignorare le individualità, come le tessere del mosaico, che esistono singolarmente ma diventano rappresentazione nel momento in cui vengono accostate tra loro.
La storia raccontata dall’artista termina comunque con un lieto fine che restituisce fiducia nel futuro: la luce e la figura del grifone, simbolo di perfezione che ci proietta verso una ritrovata unità.
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