Il titolo del libro è divertente, lei stessa ne avrebbe riso volentieri, sgranando gli occhi dietro il suo corvino caschetto da sempre Vergottini: Summa critica, Il teatro di Maria Grazia Gregori appena uscito (Ubulibri, 18 euro, a cura di Leonardo Mello). Il latino summa si può indifferentemente riferire a lei come alle recensioni. Poche erano in effetti le signore che facevano sui giornali critica teatrale, a differenza di oggi, oltre al fatto che quel mestiere ha perso posizione e prestigio nelle redazioni rispetto a qualche decennio fa. Quando il «critico teatrale» era considerato un ruolo autorevole e non a caso offerto spesso a nomi altisonanti della letteratura (senza bisogno di ricordare che anche un certo Antonio Gramsci cominciò a firmare come recensore, qualche decennio ancora prima, sulle pagine del quotidiano più politico…). Maria Grazia Gregori, amichevolmente abbreviata correntemente da molti come Mgg, scriveva anche lei su un giornale politico, «l’Unità», da Milano, dove ha sempre vissuto, coprendo «eventualmente» il Norditalia; ma rimase a lungo la «vice» di Aggeo Savioli, titolare dalla redazione di Roma, persona instancabile, che a lungo nel dopoguerra ha ricoperto lo stesso incarico anche per il cinema.

Mgg è scomparsa ormai un anno e mezzo fa, nell’aprile del 2021, e il teatro tutto ha perso una testimone indefettibile, e una simpatia e una lucidità d’analisi davvero rara tra i suoi colleghi. Anche se lei, che pure era ben addentro ai segreti del sipario, e oltre, non evitava mai di porre domande e dubbi e considerazioni agli artisti, pur essendo una vera autorità in materia. Non solo per la lunga pratica come spettatrice, ma anche per aver insegnato a lungo storia del teatro, e anche della regia, a quella che si chiamava Civica scuola Paolo Grassi, che è stata la fucina preparatoria di tanti attori e registi del teatro italiano.

COME spettatrice era molto umile, nel comprendere e interpretare uno spettacolo, che grazie alla sua scrittura risultava a volte perfino più ricco che a vederlo. Vera figlia del 900, le stava a cuore molto il mestiere del regista, novità in scena alla metà del secolo, e infatti lavorò molto a un libro che risulta ancora oggi fondamentale, dedicato proprio a quella figura della modernità: Il signore della scena, il regista appunto, che da allora è divenuto il testo fondamentale per affrontare la regia. Del resto, già prima del libro, aveva coltivato l’amicizia di nomi di importanza storica: da Giorgio Strehler (con Grassi e tutto l’ambito del Piccolo, di cui suo marito Italo Gregori è stato a lungo dirigente) a Luca Ronconi (alla cui cospicua biografia artistica lavorò negli anni 90, per poi lasciarla realizzare ad altri in anni recenti), e poi Chereau, Gruber, Stein. E anche Maurizio Scaparro, di cui aveva pubblicato una bella biografia.

Con tutti aveva rapporti di grande confidenza oltre che di conoscenza del lavoro. E ancor di più con i giovani attori e attrici, di cui era capace di fiutare subito la possibilità di un grande avvenire. Pensando a loro riusciva ad attutire le sue piccole malattie, immaginarie o vere che fossero.
Era insomma una vera autorità in campo teatrale, soprattutto da quando se n’era andato il suo amico fraterno (anche se tra loro non mancavano schermaglie che erano insieme amicali e professionali) Franco Quadri. Come lui, era la memoria storica della scena italiana, prima (e anche dopo) l’avvento di Google. E tutte queste ricchezze e qualità compaiono nel libro appena uscito: attraverso le recensioni, gli incontri e gli approfondimenti usciti dai suoi archivi di autrice.

NON MANCA una parte interessante in cui lei stessa racconta, intervistata, miserie e soprattutto grandezze della scena italiana e europea. Un grimaldello prezioso per conoscere il teatro da dentro. E per conoscere lei, che avrebbe potuto godersi uno status da sciura milanese, e invece si è spesa completamente per vedere oltre la scena. Ci manca molto oggi, e il libro, se non a farcene una ragione, ci aiuta a capire perché.