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Maria Frau, il glamour dei 90 anni

Maria Frau, il glamour dei 90 anni

Intervista Diva con Eduardo e Rascel, dopo pochi anni disse addio al cinema

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 10 dicembre 2022

Una carriera lampo, quella di Maria Frau, durata dal 1950 al 1956 con, in mezzo, numerose copertine di riviste, fotoromanzi, e poco meno di una ventina di film all’attivo ma che la impressero nell’immaginario di celluloide fin dal suo debutto sullo schermo con Margherita da Cortona di Mario Bonnard. Nata a Nulvi, in Sardegna, nel 1929, si trasferì successivamente a Roma con la famiglia, in cerca di una vita migliore. Dotata di una bellezza esotica, con tratti decisi, una lunga chioma corvina e un fisico da pin-up, Maria Frau possedeva tutti i crismi per accostarsi a Linda Darnell, María Félix o alla meteora Sylvia Lopez: «Invece oggi, pensandoci, Monica Bellucci in Malèna è la figura che più mi si avvicina durante gli anni di carriera». Dopo il debutto con Bonnard seguirono, tra i titoli più importanti, I sette peccati di papà con Maurice Chevalier, Questi fantasmi di Eduardo De Filippo e con Renato Rascel, Totò all’inferno di Camillo Mastrocinque… Finché, a un certo punto, Maria scomparve letteralmente dalle scene. In quello stesso periodo sposò l’ingegnere Giovanni Vaselli, figlio del conte Mario Vaselli, estremamente geloso tanto da imporle l’addio al cinema, cosa che Maria accettò sempre in maniera consapevole. A fine anni Cinquanta lasciarono l’Italia per trasferirsi in Costa Rica e, successivamente, si stabilirono ad Austin, in Texas, dove Maria tuttora risiede, portando i suoi 93 anni con splendida lucidità: «Non ho rimpianti. Oggi sono una nonna e una bisnonna felice. Ho realizzato quello che volevo, la famiglia. E, tornassi indietro, rifarei la stessa scelta».

A riportarla sullo schermo ci ha pensato Sergio Naitza col documentario Maria Frau, l’attrice che spense la sua stella, che verrà presentato in anteprima al festival «I mille occhi» lunedì 12 dicembre, alle ore 18.30, presso il Cinema Ariston di Trieste.

Maria, Sergio Naitza l’ha scovata dopo oltre sessant’anni dal suo ritiro. Com’è riuscito a rintracciarla e, soprattutto, a convincerla a realizzare questo lavoro?
Mi ritirai dal mondo del cinema quando scelsi di dedicarmi alla famiglia, non volevo più concedere interviste, diciamo che «scappai» dalla scena pubblica. Alcuni cercarono di rintracciarmi tramite mia sorella, che viveva a Roma, la quale non doveva assolutamente dare i miei recapiti a nessuno. Poi Sergio, attraverso i miei nipoti, mi ha trovata. Pensi che questo documentario non lo volevo neanche fare perché la mia vita era diventata privata e tale volevo che rimanesse. Ma capii che stavo sbagliando, perché anch’io sono legata alla storia del cinema e così ho accettato la proposta. Aggiungo inoltre che alcune persone mi hanno chiesto se il racconto della mia vita sarebbe continuato… Vedremo se con Sergio si farà il capitolo secondo (ride, ndr)!

Dopo aver fatto per diverso tempo la cover girl, debuttò come attrice per puro caso. Tra l’altro, col beneplacito di suo padre, cosa insolita per l’epoca…
A dir la verità ho iniziato con due fotoromanzi, uno ambientato nell’Ottocento, l’altro più moderno. Poi, un giorno, accompagnai un amico giornalista presso la sede di una produzione cinematografica e mentre l’aspettavo in sala d’attesa, entrarono due signori che si fermarono davanti a me; uno mi disse: «Ecco Margherita!», io: «Guardi che mi chiamo Maria», e se ne andarono. Poco dopo arrivò il mio amico dicendomi che Mario Bonnard voleva provinarmi per Margherita da Cortona e andò bene, ma lo scoglio rimaneva mio padre, perché ero minorenne. Non voleva assolutamente firmare il contratto e mia madre, che mi sostenne tanto, alla fine lo convinse con l’appoggio del produttore Alberto Manca, che era sardo pure lui.

In un passaggio del documentario afferma che al cinema, a differenza dei baci, «gli schiaffi erano veri».
(ride, ndr) Quanti ne ho presi! Ne ricordo uno, fortissimo, da Piero Lulli ne Il lupo della frontiera… Mi dovetti mettere una bistecca sul viso perché mi si era gonfiato tutto. E comunque sì, i baci erano falsi.

Ha dichiarato che ha sempre lavorato in tranquillità, per lei il set era come stare in famiglia. Non ha mai avvertito rivalità nemmeno da parte di alcune colleghe?
Assolutamente no. Spesso sono i giornali di gossip a inventare rivalità che non esistono. Per quanto mi riguarda, stavo bene con tutti. Ricordo la semplicità di Gina Lollobrigida e di Sophia Loren, che incrociavo ogni tanto. Non è vero che le attrici sono inarrivabili. Poi, ecco, di certo c’era qualcuna più sofisticata di altre, ma le più celebri rimangono le più umili, e lo posso confermare perché professionalmente ho vissuto con loro. Personalmente ho sempre cercato di non creare mai attriti.

Qual è il personaggio che ha interpretato a cui è più legata?
Mi è molto piaciuta Chiquita in Stella di Rio (di Kurt Neumann, nda). Mi sono veramente sfogata in quel film. Prima avevo interpretato perlopiù ruoli di donna sedotta e abbandonata; qui, invece, sono tutta l’opposto, canto e ballo. Pensi che fui io a occuparmi delle musiche.

Cioè?
La produzione era italo-tedesca, giravamo a Berlino, e nessuno della troupe aveva dimestichezza con la musica brasiliana. Poco tempo prima ero stata a un festival in Sudamerica dove acquistai svariati vinili, così li portai sul set per far sì che le musiche fossero autenticamente brasiliane. Dopo questo film, mi contattarono Garinei e Giovannini per offrirmi una commedia musicale con Ugo Tognazzi, sulle prime accettai. Dovetti poi rifiutare perché mi avrebbe tenuto occupata per circa un anno e avevo dei contratti già firmati.

E Vittorio Gassman?
Mi chiamò per propormi di entrare nella sua compagnia, qualche tempo dopo avermi vista in Questi fantasmi di Eduardo De Filippo. Al telefono rispose mio marito, gelosissimo: «Maria Frau non è più legata al mondo dello spettacolo», gli disse. Mi ero già ritirata a vita privata.

Ha fatto breccia nei cuori degli spettatori, tutt’ora la contattano per chiederle foto e autografi.
Dopo Stella di Rio ebbi molto successo soprattutto in Germania. E ancora oggi, da lì, mi scrivono! Alcuni sono meravigliosi perché mi mandano buste grandissime già affrancate con dentro le mie foto e devo solo fare l’autografo! Mi scrivono anche dei collezionisti dalla Francia… Non solo uomini, ma anche molte donne.

Totò ed Eduardo, come li definirebbe?
Eduardo era dolcissimo, con lui si lavorava davvero bene. Mi propose di continuare ad affiancarlo, ma mi sarei dovuta trasferire a Napoli e non potevo. Totò era un principe, dalla semplicità incredibile; ricordo una scena di Totò all’inferno quando, in mezzo a un suo dialogo, disse pure il mio cognome (ride, nda). Mi invitava a pranzo a casa sua, rimanemmo molto amici. Ricordo con affetto anche Mario Bonnard, era come un papà, ha saputo guidarmi ed era felicissimo perché ero pronta a tutto quello che voleva.
Ha raggiunto un’età importante e la porta in maniera splendida. Qual è il suo segreto?
È un dono, non c’è niente da fare.

Forse c’è di mezzo anche il sangue sardo…
Decisamente, noi sardi siamo una categoria a sé. Amedeo Nazzari, ad esempio, aveva un carisma inarrivabile. Dovevamo fare un film assieme, L’ultimo bandito. Alberto Manca mi scritturò facendomi stare ferma un anno. Alla fine non se ne fece nulla, purtroppo.

Nonostante il ritiro è rimasta spettatrice?
Sempre! In questo periodo sto rivedendo molti film degli anni Quaranta e Cinquanta. Ad esempio, poche sere fa ho rivisto Quel tesoro di papà con Aurelio Fierro.

Ci sono delle colleghe di oggi che le piacciono particolarmente?
Non ho preferenze attoriali, guardo i film nella loro completezza.

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