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Maria Callas, 100 anni molto divini

Maria Callas, 100 anni molto diviniDurante l’incisione di «Norma», Christa Ludwig e Maria Callas, foto Erio Piccagliani © Teatro alla Scala

Divina Una mappa provinciale delle tournée italiane toccate da un soprano di fama universale

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 2 dicembre 2023

In quest’anno del centenario è di nuovo Milano ad avere il privilegio di raccontare al mondo Maria Callas, di omaggiarla e ricordarla. Più di New York, Atene e Parigi, è stata infatti Milano la patria artistica del grande soprano e prima ancora l’Italia nel suo insieme, che l’ha accolta quando era una sconosciuta, nel suo mosaico di teatri grandi e piccoli. Una mappatura delle sue tappe artistiche non può che partire da Verona, dall’Arena, dove Maria Callas ha cominciato e dove è tornata più volte, cantando Turandot, Aida, Violetta, Leonora nel Trovatore e perfino, unica occasione, Margherita nel Mefistofele.

La vicenda è nota: Maria Callas arriva in Italia dopo aver visto naufragare il miraggio di una Turandot a Chicago per la bancarotta dell’impresario. Il basso Nicola Rossi Lemeni, anche lui della partita, aveva consigliato a Giovanni Zenatello, l’anziano tenore veronese, responsabile artistico dell’Arena, di ingaggiare Maria Callas per La Gioconda di Ponchielli. Un azzardo, ma Zenatello era a corto di cantanti e con la giovane americana poteva giocare al ribasso con la paga. È al ristorante Pedavena di Verona che Callas e Rossi Lemeni cenano la sera stessa del loro arrivo in città, il 28 giugno 1947. Con loro, il maturo imprenditore Giovanni Battista Meneghini, che il giorno dopo li porterà in gita a Venezia e inizierà a giocare da subito un ruolo centrale nella vita del giovane soprano, in qualità di affettuoso sostenitore, di consigliere e di manager.
La recita del debutto, il 2 agosto 1947 è solo un buon successo, condiviso dalla protagonista con Rossi Lemeni e col tenore americano Richard Tucker, all’esordio italiano.

Tucker, come Rossi-Lemeni, manterrà un rapporto affettuoso con la connazionale, con cui canterà poi a New York: per lui resterà la Mary di Washington Heights, una ragazzona alla mano dalla grande voce. Proprio questa grande voce nei primi tempi favorisce il percorso artistico di Maria Callas, sostenuta da Tullio Serafin, il direttore delle cinque recite veronesi di Gioconda e dall’onnipresente Meneghini.

La prima fondamentale tappa è Venezia: gli anni del dopoguerra non vedono una pianificazione troppo anticipata delle stagioni e alla Fenice cercano un soprano per Tristano e Isotta di Wagner, cantato in italiano. Maria Callas conosce l’aria ma legge il resto della parte a prima vista con Serafin, confessando poi la verità al direttore, già comunque pronto a ingaggiarla. Va in scena il 30 dicembre del 1947 e le recite sono accolte bene. La prima stagione italiana di Maria Callas è improntata al repertorio da soprano lirico spinto e drammatico, che condurrà in teatri importanti come in sale minori: a Venezia ritorna nel 1948 per Turandot, che ripete nei mesi successivi a Udine, in due recite romane alle Terme di Caracalla, nella nuova stagione estiva dell’Arena, con Antonino Votto sul podio e Luchino Visconti che l’ascolta per la prima volta. Poi è a Genova, dove aveva da poco debuttato con una singola recita di Tristano, addirittura accanto a Max Lorenz, antica gloria di Bayreuth.

Serafin ne ha già individuato le potenzialità e la vuole in novembre per Norma di Bellini a Firenze. Un presagio ma non ancora una rivelazione, perché Norma all’epoca resta, nella considerazione generale, un’opera di pertinenza di voci sfogate, le stesse che interpretano Aida o La forza del destino, altre due opere che la Callas canta già in quei mesi al Lirico di Torino e al Politeama Rossetti di Trieste, città dove lascerà poi un ricordo incancellabile in Norma.

Nel gennaio 1949 Maria Callas è di nuovo a Venezia, dove è tornata per cantare ancora Wagner: è Brunilde nella Valchiria, e la moglie di Serafin la ascolta scaldare la voce con la cabaletta dei Puritani. Lo riferisce al marito e l’audizione, convocata in fretta e furia, non sarà più nell’ordine della cronaca ma della leggenda: persuasa da Serafin, Maria Callas riesce trionfante in un’impresa inaudita quanto rischiosa, allora come oggi: a tre giorni di distanza dall’ultima Valchiria, ripetuta peraltro a Palermo a fine mese, ecco le tre recite veneziane dei Puritani di Bellini, la conferma per Serafin della straordinaria personalità e della molteplicità di talenti di quel corpulento, musicalissimo soprano dalla «vociaccia», che nel frattempo vede inesorabilmente crescere i suoi onorari, gestiti da Meneghini, con cui si sposa nel 1949.

Passa qualche tempo prima che il fenomeno Callas prenda le proporzioni che la avvieranno a resuscitare il repertorio belcantistico con le risorse formidabili di una voce da soprano drammatico di agilità, capace di cantare con la leggerezza di un soprano di coloratura, incarnate poi nella figura elegante di una diva del cinema. Le avvisaglie ci sono già in quel 1949 in cui Maria Callas incide il primo disco all’Auditorium Rai di Torino – scene da Tristano e Isotta, Norma e i Puritani – e in cui si produce in Turandot e nella Kundry del Parsifal; ma sconfina perfino nel barocco, dando voce a Erodiade nel San Giovanni Battista di Stradella a Perugia. Ormai il nome della Meneghini Callas circola fra i direttori artistici, è una cantante discussa, le pattuglie di appassionati si infoltiscono.

Sono Roma, Napoli e Firenze le città centrali in un’ascesa che conta, tra le tappe principali del 1950 – alcune conservate in fortunose registrazioni – una interpretazione travolgente di Abigaille nel Nabucco al Teatro di San Carlo a Napoli, la spiritata, brillante Fiorilla nel Turco in Italia di Rossini, avventurosa impresa dell’Anfiparnaso all’Eliseo di Roma, con le scene di Maccari e la direzione di Gavazzeni, anticipazione del ritorno dell’opera a Milano e della registrazione discografica.

Nel frattempo è arrivato, in sordina, il debutto alla Scala in tre recite di Aida, precedute da un’apparizione – sempre nelle vesti della principessa etiope – a Brescia. Intanto si affaccia un altro personaggio simbolo dell’arte di Maria Callas, Tosca, già affrontata sulla scena in Grecia, e ora ripresa in Messico e in occasioni varie, Salsomaggiore, Pisa, Bologna. Nella testa di Maria Callas c’è già Violetta, parte fondamentale in quel percorso di rivisitazione-reinvenzione della vocalità del ‘drammatico d’agilità’, sviluppata già negli anni greci di studio con Elvira de Hidalgo e coronamento di un desiderio nato, forse, ascoltando per radio a New York quella che per lei era «the greatest of us all», il soprano Rosa Ponselle.

Nei panni di Violetta, nel 1951, è a Firenze e poi con recite sparse fra Cagliari e Bergamo, Catania e la temibilissima Parma – presenti il produttore Emi Walter Legge e sua moglie, il grandissimo soprano Elisabeth Schwarzkopf – che le guadagna ammiratori e quello che sarà un delirio di folla in Brasile e a Città del Messico.

In anticipo sulla Scala, che le offre la prima inaugurazione il 7 dicembre 1951 con I vespri siciliani, è il Maggio Fiorentino a creare sensazionali occasioni di mettere alla prova la sua vocalità multipla: dal 1951, proprio con quei Vespri salvati fortunosamente su nastro e poi con Orfeo e Euridice di Haydn al Teatro della Pergola, entrambi con Eric Kleiber sul podio. Nel 1952 ecco la fosforescente resurrezione di Armida di Rossini, con le scene di Ruggero Savinio, ancora Serafin a dirigere; e, infine, nel 1953, la prima Lucia di Lammermoor dopo quelle del Messico e l’incontro fatale con Medea diretta da Vittorio Gui, opera tragica, stregonesca, la prima di una serie che da Roma la porterà a Milano con Leonard Bernstein e poi a Dallas, Londra, Epidauro fino alle recite di addio scaligero con Thomas Schippers. Vicende raccontate bene nei documentati saggi di Mille e una Callas, indispensabile volume curato da Luca Aversano e Jacopo Pellegrini, appena ristampato da Quodlibet.

Nel 1953 Maria Callas è ormai sbocciata, Milano è il suo regno. Non era mai accaduto che già la crisalide fosse apparsa tanto raggiante quanto l’elegante e fragile farfalla, destinata a volare ancora per poche, indimenticabili stagioni.

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