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«Mari mai così caldi, presto record di uragani»

«Mari mai così caldi, presto record di uragani»Un iceberg che si sta sciogliendo

Prima ricerca globale sul tema: gli oceani hanno prodotto calore come 630 miliardi di asciugacapelli accesi per tutto l’anno

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 14 gennaio 2021

Il surriscaldamento globale non arroventa solo l’aria ma anche l’acqua. Lo scorso anno le temperature mondiali hanno registrato un aumento tale da certificare il 2020 come l’anno più caldo mai registrato da quando l’uomo prende la temperatura della terra, e in generale anche per gli oceani è stato un anno da record. Ovunque. A indicarlo è il primo studio realizzato sul riscaldamento globale degli oceani a cui hanno partecipato 13 istituti di ricerca di tutto il mondo e pubblicati sulla rivista Advances in atmospheric sciences.

I DATI SONO STATI RICAVATI da tutte le osservazioni disponibili nel World ocean database: quelli del 2020 evidenziano che rispetto al valore medio registrato l’anno precedente, lo strato dell’oceano tra la superficie e i 2.000 metri di profondità, ha assorbito una quantità di calore pari a 20 Zettajoule. Per fare comprendere di quanto calore si tratti i ricercatori stessi hanno utilizzata una curiosa equivalenza: quella con il calore prodotto da 630 miliardi di asciugacapelli in funzione giorno e notte per un anno intero. Franco Reseghetti del Centro ricerche ambiente marino Santa Teresa dell’Enea, uno dei coautori italiani dello studio assieme a Simona Simoncelli del Centro ricerche dell’Ingv di Bologna, si è ulteriormente sbizzarrito individuando che tale aumento corrisponde a 20 mila volte i consumi di energia elettrica del nostro paese nel 2019. Al di la’ dei suggestivi parallelismi, un’impennata mai vista.

Non è la prima volta che si misura la febbre all’oceano: nel 2000 l’oceanografo Sidney Levitus ed altri ricercatori pubblicarono uno studio che mostrava un progressivo riscaldamento delle acque oceaniche negli anni tra 1948 e il 1998, utilizzando come dato non la temperatura ma la Ohc, il contenuto di calore degli oceani. Quello appena elaborato dal un team internazionale di scienziati utilizza lo stesso indicatore, quindi non la temperatura, ed è il primo relativo agli anni recenti: l’analisi mostra infatti che ciascuno degli ultimi nove decenni è stato più caldo del decennio precedente, e che i cinque anni più caldi mai registrati si sono verificati tutti a partire dal 2015.

«IL 90% DEL CALORE del riscaldamento globale finisce negli oceani quindi in realtà il “riscaldamento globale” non è altro che il riscaldamento dell’oceano», sottolinea l’altra co-autrice italiana dello studio.

Acque più calde anche solo di un grado scatenano un susseguirsi di effetti disastrosi, per esempio nella catena alimentare: una serie di ondate di calore che hanno interessato il Nord est pacifico nelle ultime decadi hanno determinato una riduzione drastica delle riserve marine globali di cibo; l’espansione volumetrica dovuta al riscaldamento è fra i fattori principali dell’innalzamento dei livelli marini.

MA A CAUSA DEL RUOLO che le acque svolgono nel modulare il clima della terra, questo progressivo riscaldamento diventa ancora più grave. Oceani più caldi portano ad un riscaldamento maggiore dell’atmosfera e un’atmosfera più calda provoca piogge più intense, un numero maggiore di tempeste e uragani, per giunta di maggiore intensità, aumentando anche il rischio di inondazioni. Il 2020 è stato ricco di eventi estremi a conferma di questa dinamica. E di come tutto il pianeta sia interessato dal fenomeno del riscaldamento, non solo qualche area specifica. Nel Nord Atlantico quest’anno si è verificato un numero record di tempeste che hanno colpito il nord America, lo stesso fenomeno si è verificato in Vietnam e l’arcipelago delle isole Fiji è stato recentemente devastato da un uragano di categoria 5 (valore massimo). Anche i paesi dell’area mediterranea sono stati colpiti da importanti incendi estivi (Spagna, Portogallo, Grecia e Italia), e hanno subito danni da trombe d’aria e piogge di intensità estrema.
IL MAR MEDITERRANEO anche in questa occasione si rivela un ecosistema strategico quanto fragile: la ricerca vi ha registrato il tasso di incremento più alto al mondo. Il suo trend di crescita, spiega Zeneghetti, è iniziato verso la fine degli anni ’80, ha rallentato nei primi anni 2000, per poi ricominciare a crescere nel 2003, un anno terribile dal punto di vista climatico, che ha registrato 70 giorni uno più caldo del precedente. Ma la linea di tendenza degli ultimi 5 anni assomiglia a una ripida parete montuosa e questo per un bacino circondato da 22 paesi, il raccordo idrico di Europa, medioriente e Asia significa una pesante catena di impatti per le dense popolazioni costiere.

IL MESSAGGIO È SEMPRE più chiaro quindi anche da parte degli oceani: bisogna ridurre le emissioni di gas serra per evitare conseguenze drammatiche per tutta l’umanità. Anche questi dati ci dicono che bisogna fare in fretta: più tiriamo la corda, più ritardo accumuliamo nel prendere provvedimenti, minore e più lenta sarà la loro efficacia. Sono necessari cambiamenti immediati, strutturali e duraturi: lo testimonia anche l’effetto risibile sulla diminuzione dei livelli di gas serra provocato dal lockdown mondiale e anche il fatto che i dati mostrano che a riscaldarsi di più sono le acque più profonde. Si tratta quindi di un processo che è iniziato da tempo e che ha bisogno di altrettanto tempo per invertire la rotta. Mentre noi di tempo non ne abbiamo più.

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