Fin dalle prime righe del romanzo i protagonisti ci sono tutti. C’è Ferzetti, e la sua gattina appena adottata, e poi la prof. Magnani che dà del lei solo a lui in una classe dove troviamo Flavia, Sofia, Marco, Daniele, Tarek, Bolivia e mettiamoci pure la canna lasciata cadere nel lavandino del bagno, mettiamo anche la canna fra i protagonisti del libro. E poi c’è la scuola, l’edificio scolastico, aule corridoi banchi muri scale, che come ci ha insegnato uno dei massimi autori del Novecento, Charles Schulz, vede tutto, ricorda tutto. Potrebbe essere il sequel del romanzo precedente Domani interrogo, se non fosse che in A scuola non si muore, di Gaja Genciarelli (Marsilio, pp. 246, euro 15), già alla seconda pagina appare un altro personaggio che ci fa capire che di sequel si tratta, ma con qualche variazione. Perché il personaggio, che poi sarebbe il vicepreside, entra in scena sotto forma di cadavere. Ora, se in un romanzo, a pagina due, spunta un cadavere ci sono poche alternative: qualcuno si chiederà come è morto. Se alla domanda si può dare una risposta semplice, finisce lì e ok. Ma se ha le mani tagliate e un foro di proiettile in testa sarà abbastanza ovvio farsi la seconda domanda: chi è stato? Whodunit? Che è proprio il nome che in inglese si dà a quel tipo di giallo in cui il principale obiettivo del detective, detective per mestiere o per caso, risulta essere questo: scoprire il colpevole. Cenciarelli accetta con stile impeccabile la sfida del giallo classico e se ne esce con quello che è un romanzo perfetto.

PERFETTO, INNANZITUTTO, nel declinare, come avrebbe sempre fatto Agatha Christie, in modo del tutto creativo e autonomo le famose regole auree del genere scritte nel 1928 da S. S. Van Dine. Twenty rules for Writing Detective Stories. In A scuola non si muore il lettore ha le stesse possibilità del detective di risolvere il mistero perché tutti gli indizi e le tracce sono chiaramente elencati e descritti. Non ci sono «sedute spiritiche», o «cani che non abbaiano» a denunciare il colpevole. E poi, regola n. 7 «Ci dev’essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è. Nessun delitto minore dell’assassinio è sufficiente. Trecento pagine sono troppe per una colpa minore. Il dispendio di energie del lettore dev’essere remunerato!» E qua di cadaveri ce n’è più di uno, quindi fatica ampiamente remunerata, caro signor Van Dine. Inoltre c’è un detective che indaga e deduce (anche se Cenciarelli decide di contravvenire alla regola che il detective deve essere uno, perché qui a indagare è una classe intera) e lo fa attraverso quell’intelligenza collettiva che una comunità educante può generare, socializzando indizi, memorie letterarie ma soprattutto cinematografiche e televisive.

Margherita Magnani, grande fan del tenente Colombo, appare sempre riluttante: finita suo malgrado in un pasticciaccio brutto preferirebbe starsene a casa a vedere per la centesima volta Profondo rosso invece di finirci dentro. Come Colombo, Magnani è svagata eppure è attentissima a ogni particolare che riguarda le cose che le stanno a cuore: la scuola, i ragazzi e le ragazze, il suo gatto.

ANCHE NELLA SCELTA di questa figura di detective il libro di Cenciarelli opera una scelta in controtendenza e azzeccatissima. Magnani è una prof di inglese in un istituto professionale: in un paese nel quale quando si parla di scuola si dice «liceo», e quando si parla di versione intesa come traduzione, si pensa al greco, questa donna che insegna, come le dice Ferzetti, «la più morta fra le lingue vive» ci costringe a spostare lo sguardo in una zona niente affatto comfort che è quella della scuola che è e non della scuola come vorremmo che fosse. Perché A scuola non si muore non è soltanto un divertente omaggio al giallo, è, come capita spesso con le migliori detective stories, un libro profondamente politico. Anzi, direi, senza dubbio il romanzo italiano più politico e serio che mi è capitato di leggere quest’anno.

La scuola è politica in ogni sua fibra e il modo in cui una scrittrice decide di mettere in scena le relazioni fra docenti, quelle fra docenti e studenti e famiglie, ma anche la didattica e i voti e le interrogazioni e i PEI dicono più di lei (o di lui) di ogni possibile dichiarazione sul tema. Non basta essere genericamente di sinistra per avere uno sguardo rivoluzionario sulla scuola, per questo scegliere di far fuori, a pagina due, chi si attacca ai voti numerici come ultimo strumento di autorità dato a chi insegna pare non solo geniale, ma profondamente radicale.

Un po’ Miss Marple un po’ Cordelia Gray, la prima detective uscita dalla penna di P. D. James, Margherita Magnani speriamo di ritrovarla ancora e ancora, anche se viene da chiedersi come? Dobbiamo auspicare un suo trasferimento? O possiamo ipotizzare che in una scuola di 2000 persone le possibilità sono infinite? Leggo che all’inizio della serie Murder she wrote, La signora in giallo, Cabot Cove contava 3560 abitanti e, con 60 omicidi totali nel corso di 12 anni di episodi, ha raggiunto una media di 5 omicidi all’anno. Non resta che augurarci che la stessa cosa accada nella scuola di Margherita Magnani.