La strada è Hyde Park Gate, a due passi da Kensington Gardens, poco più indietro torreggia sullo stesso lato la palazzina fatta rialzare per la sua numerosa famiglia da Sir Leslie Stephen. Ma se al 22 sono tre le Blue Plaque incolonnate sopra la parete color burro per ricordare, oltre al direttore del Dictionary of National Biography, le sue più celebri figlie Vanessa e Virginia, nessuna targa richiama al 14 la memoria di Margaret Kennedy, nata qui il 23 aprile 1896. Un anno prima le ragazze Stephen avevano perso la madre e con lei la molto amata Talland House delle vacanze, rievocate entrambe da Virginia nelle pagine di Al faro. Figlia maggiore di un avvocato di origini irlandesi, la madre era invece dello Yorkshire, anche Kennedy trascorrerà le estati della sua infanzia in Cornovaglia insieme al fratello e alle due sorelle; ancora bambina avrebbe lasciato Hyde Park Gate per il Kent, seguendo controcuore la famiglia, negli stessi mesi in cui i quattro fratelli Stephen, morto il padre, si trasferirono in Gordon Square. Nessun’altra prossimità porterà la sua esistenza, tantomeno la sua scrittura, a incrociare le acrobazie e gli eccessi dei Bloomsberries. Li allontana anche il silenzio, non solo topografico, da cui nel tempo è stata inghiottita la sua fama.

Lexham Gardens, stanza in affitto
Educata in casa da un’istitutrice, tra i sedici e i diciannove anni Margaret Kennedy frequentò il Cheltenham Ladies’ College, iscrivendosi in seguito al Somerville College di Oxford, dove nel 1919 si laureò in storia. La casa editrice Methuen le commissionò subito dopo A Century of Revolution; la collana per cui era stato progettato naufragò e il libro uscirà in sordina nel 1922, ma la sua stesura consentì all’autrice di comprendere che se il futuro coincideva per lei con la scrittura, certo non si trattava di scrittura della storia. È radicato nel presente, in quella società altoborghese cui Kennedy apparteneva, The ladies of Lyndon, romanzo d’esordio uscito da Heinemann nel 1923. Lo notarono in pochi, però lei sapeva ormai dove aveva intenzione di dirigersi. Se ne tornò da sola a Londra e in una stanza d’affitto in Lexham Gardens, a un miglio di distanza dalla casa in cui era nata, martellò sulla macchina per scrivere The Constant Nymph, pubblicato ancora da Heinemann nel 1924 e accolto da un imprevedibile successo di critica e di pubblico. La stessa scrittrice, insieme al regista Basil Dean, ne curerà la trasposizione teatrale andata in scena nell’autunno del 1926 al New Theatre di Shaftesbury Avenue con Noël Coward, poi sostituito da John Gielgud, nel ruolo del protagonista. L’anno precedente, a una cena dove era capitata per errore, aveva conosciuto David Davies, un avvocato. Lo sposò in quel 1925 rimanendo al suo fianco per tutta la vita. Insieme a lui, la prima dei tre figli sarebbe nata un anno dopo, si stabilì nel ’27 in una casa di Campden Hill Square, ancora una volta a pochi passi da Kensington Gardens.
Ha senso che uno dei primi estimatori di The Constant Nymph sia stato J.M. Barrie e che lo abbia portato in dono a Thomas Hardy. Lo scrittore ormai anziano farà sapere all’autrice non solo di avere apprezzato la lettura, ma di non sentirsi affatto dispiaciuto che avesse rubato il nome alla sua Tess per la protagonista adolescente adombrata nel titolo. In cinque anni il libro raggiunse il milione di copie vendute. Da noi lo tradusse Garzanti nel 1927 con il titolo molto rosa La ninfa innamorata, rimasto invariato tanto nella ristampa del ’47, quanto nella pubblicazione a puntate apparsa un anno dopo su «Noi Donne». Opterà per il più appropriato La ninfa fedele una seconda versione uscita per Mursia nel ’58. Un aggettivo linguisticamente più cauto, tuttavia narrativamente meno espressivo, sceglie adesso la nuova edizione Fazi intitolata La ninfa costante («Le Strade», traduzione di Sabina Terziani, pp. 358, € 18,50). Ma innamorata o fedele o costante che sia, in quale accezione andrà interpretato il sostantivo «ninfa», oltretutto mai utilizzato nel testo? Chi è la quindicenne Teresa, più spesso chiamata Tessa?
Kennedy ha scritto che in lei si sovrappongono il ricordo di una bambina indomita e cenciosa incontrata in Cornovaglia e quello di una compagna di scuola dall’infanzia complicata, una ragazza misteriosa e fragile ma di straordinaria forza interiore. Si è poi pensato che il padre Albert Sanger, compositore inglese giramondo e sciupafemmine, provvisto di una numerosa e scombinata famiglia, abbia per modello il pittore Augustus John, amico del cugino irlandese dell’autrice. Un amico di entrambi avrebbe ispirato il personaggio di Lewis Dodd, musicista insofferente della propria origine borghese e affascinato dalla selvatica ma armoniosa esistenza condotta oltremanica dai Sanger; un talentuoso quanto inaffidabile narciso che Tessa adora da quando era bambina. Certo è che la sequenza austriaca del romanzo, quella su cui la trama si dischiude, risplende della felicità provata da Margaret Kennedy durante la sua prima vacanza in Tirolo. Dire che i materiali su cui l’autrice ha lavorato provengono in parte dalla sua autobiografia non significa però spiegare la straordinaria originalità, tantomeno la fresca, scintillante, bellezza del romanzo.

Povera di madri, ricca di orfani
«Ho letto un bel libro, The Constant Nymph di Margaret Kennedy, che è proprio divertente, cosa rara per un libro» scriveva la baronessa Karen von Blixen al fratello Thomas dalla sua Africa il 24 febbraio 1926. È vero, La ninfa costante si può definire un libro divertente. Sono allegri i ragazzi Sanger prima che la morte del padre si abbatta come un fulmine sulla loro hutte e nella trama; è allegro il loro affiatamento e l’amore che ognuno mostra per la musica, allegra la selvaggia educazione alla verità che hanno ricevuto, allegro il disordine che regna nelle loro giornate di luminose scorribande. Ma non intendeva descrivere un mondo «divertente» l’autrice di questa vicenda povera di madri e ricca invece di orfani la cui vita gli adulti vorrebbero per fini diversi manovrare. Al cinema, soprattutto nel film hollywoodiano del 1943 con cui Joan Fontaine nel ruolo principale ha sfiorato il secondo Oscar, è diventata la storia lacrimevole di un triangolo amoroso: l’egotista Dodd in mezzo alla dolce Tessa e alla perfida, affascinante cugina Florence che i ragazzi hanno seguito a Londra. Tra il divertente e il lacrimevole riposa il significato vero del testo.

Una piccola opera classica
«La storia non equivale al contenuto di un romanzo. È piuttosto una visita guidata nell’originale paesaggio dell’autore, e la narrativa è il mezzo che trasporta i passeggeri. Alcuni scrittori hanno disposto di un mondo così vasto da offrire un’enorme varietà di viaggi; altri ne hanno offerto uno soltanto e hanno raccontato più e più volte la stessa storia» scriverà Kennedy in The Outlaws on Parnassus (1958), un saggio sul romanzo apparso nove anni prima della morte. Il suo paesaggio è la famiglia, la placida esistenza della borghesia britannica con i suoi rigidi principî educativi e le sue impettite regole sociali, i suoi rassicuranti, gelidi riti; è il vuoto cerimonioso dell’ambiente culturale, la ferocia accucciata in ogni forma di snobismo, il desiderio di potere imbellettato anche dall’arte. L’obliterazione del desiderio femminile. Scegliendo sulla pagina l’apparenza smaltata della tradizione, ma adottando un linguaggio acuminato e una ferrea struttura narrativa, inventandosi una voce dalla tonalità mutevole e una prospettiva plurima di sguardo, Margaret Kennedy trafigge quietamente il mondo che conosce così bene. Lo squarcia esponendo con tagliente ironia la criminosa menzogna che abita il decoro. È un talento anarchico il suo, piuttosto che romantico. Appassionati, liberi, esuberanti i ragazzi Sanger rappresentano la sua rivolta anche sanguinosa contro la faccia ipocrita della banalità. «Non credo che un libro dovrebbe essere triste, a meno che non sia una grande opera classica» affermerà Nancibel, un’altra ragazza autentica e ribelle, nel più tardo La festa (1950). Proprio così, benché nemmeno la topografia londinese conservi memoria di Margaret Kennedy, sarebbe giusto considerare oggi La ninfa costante: una piccola opera classica.