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Marco Ruotolo: «Ergastolo ostativo, lo Stato prova a salvare il salvabile»

Marco Ruotolo: «Ergastolo ostativo, lo Stato prova a salvare il salvabile»Il costituzionalista Marco Ruotolo

Intervista Parla il docente di Diritto costituzionale dell'Università Roma Tre

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 25 marzo 2021

«Non riesco proprio a comprendere la ragione per la quale si stia enfatizzando in questo modo l’intervento in udienza dell’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sull’ergastolo ostativo sia rigettata». Il costituzionalista Marco Ruotolo, docente di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre, non è d’accordo con chi ha interpretato le conclusioni dell’avvocato Ettore Figliolia, durante l’udienza pubblica in Consulta, come una piccola apertura verso l’abolizione dell’automatismo con il quale si impedisce la liberazione condizionale agli ergastolani che non collaborino con la giustizia.

Professore, cosa ha sostenuto esattamente l’Avvocato dello Stato?

Che la disciplina censurata può sempre essere letta in modo conforme a Costituzione, ossia senza escludere del tutto la possibilità di accedere alla liberazione condizionale per il condannato. Ciò che si evince dalla lettura delle pronunce della Cassazione richiamate dall’Avvocato dello Stato è, però, semplicemente una tendenza a richiedere una più puntuale verifica delle ragioni addotte dal condannato di considerare la collaborazione impossibile o inesigibile, per il fatto di non poter comunque fornire informazioni utili all’attività investigativa. Se si seguisse questo “suggerimento” dell’Avvocatura la questione di costituzionalità sarebbe da rigettare (o addirittura da ritenere inammissibile) per l’erroneo presupposto interpretativo dal quale prende le mosse l’ordinanza della Cassazione.

Dunque, non c’è nulla di nuovo, nella conclusione del rappresentante legale dello Stato?

Non la considererei una posizione “figlia” del presunto “nuovo vento” che soffia in via Arenula, come alcuni hanno sostenuto. A me pare un tentativo di “salvare il salvabile”, in quanto il precedente della Consulta sui permessi premio (sent. n. 253 del 2019) e la sentenza Viola della Corte Edu non sembrerebbero lasciare alternative all’accoglimento della questione. Entrambe, infatti, dicono ben altro e cioè che il difetto di collaborazione non può essere elevato ad indice invincibile di pericolosità sociale. Se si rigettasse la questione, pure seguendo l’interpretazione “suggerita” dall’Avvocatura, quell’indice rimarrebbe, sarebbe tutt’altro che superato.

Al giudice della sorveglianza non sarebbe restituita la possibilità di valutare se vi siano elementi concreti (soprattutto riguardanti l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata) che consentano di ritenere superabile la condizione della mancata collaborazione, essendo piuttosto “invitato” «a valutare in concreto le ragioni per le quali la condotta collaborativa auspicata» non si è potuta realizzare, come ha detto l’Avvocato dello Stato. Si tornerebbe insomma al punto di partenza, ossia a riproporre l’argomento della sentenza n. 135 del 2003, per quanto superato dalla successiva giurisprudenza costituzionale ed europea: il condannato è sempre libero di cambiare la sua scelta di non collaborare (o di dimostrare che la sua collaborazione è «impossibile» o «inesigibile»), così superando la preclusione. Se da questo si vuole trarre a tutti costi un segnale di cambiamento di tipo politico e/o tecnico, si è proprio fuori strada! Dietro una soluzione apparentemente “progressista”, si cela (e non è poi così nascosta, né difficile da cogliere) la volontà di mantenere le cose come stanno.

Eppure c’è già chi, come la Lega, alcuni parenti delle vittime e una certa magistratura antimafia, grida allo scandalo…

Sì, in effetti questo “suggerimento” così enfatizzato, che dalla prospettazione di una inammissibilità si trasforma nell’indicazione di un possibile rigetto, sia pure non negando “aperture” che però sono in larga parte acquisite, ha già alimentato reazioni quasi fosse il preludio ad un “liberi tutti”. Figuriamoci cosa si direbbe in caso di accoglimento della questione, che in realtà si limiterebbe a rendere la liberazione condizionale non impossibile (a determinate, assai rigide, condizioni), ma sempre, ovviamente, improbabile o difficile.

La Corte ha fatto sapere ieri che proseguirà la discussione dopo Pasqua.

Anche questo può accadere – ed è già accaduto in passato – a fronte di una questione delicata, la cui decisione può richiedere tempi più lunghi di maturazione. Speriamo che non si enfatizzi oltre modo anche tale accadimento.

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