L’inizio non è altro che la fine, la dichiarazione di un addio che definisce il livello di tensione di tutto il libro. Con L’ombra del vulcano (Einaudi, pp. 164, euro 18), Marco Rossari dà forma a un romanzo densamente letterario, ma svolto in forma di cronaca. La narrazione attraversa un doppio binario; da un lato, insegue passa dopo passo tutti i gradi dell’addio e il loro doloroso avvicendamento, dall’altro affronta la traduzione, in uno strenuo corpo a corpo, di un capolavoro della letteratura del Novecento, Sotto il vulcano di Malcolm Lowry.

UNA FORMA DI ABBANDONO e una forma di lotta che si intrecciano pagina dopo pagina in una Milano illuminata e regolata esclusivamente dal rito – sempre più impiegatizio – dell’aperitivo, versione urbana di un alcolismo emotivo debordante.
Per certi versi il libro di Rossari è anche una sorta di vita agra al tempo del lavoro culturale contemporaneo, non solo spesso sottopagato, ma sempre più incapace di restituire un senso e la dignità di una passione. Non manca così tutto il parterre da commedia all’italiana del mondo editoriale. A partire dalla figura mitica ed eminente di Fernanda Pivano che non dimenticò mai di garantire quasi a chiunque, più o meno giovane o ingenuo che fosse, una stanca raccomandazione seguita dal presagio di un futuro fortunato e di successo, come capita anche al timido protagonista de L’ombra del vulcano. Vengono poi i bar o baretti, i negroni che, fra un bicchiere e l’altro, conducono a fine serata. E infine gli scrittori, quelli che si presume di successo, ma che in realtà non riescono più a credere a nulla, tantomeno a loro stessi, e quelli che invece ci provano ancora, avendone smarrito il motivo.

IL PANORAMA È DESOLANTE quanto altamente alcolico, ma depauperato da ogni forma di eroismo più o meno decadente. Lo stato è quello di una perenne attesa, forse di una rivelazione. Intanto, quello che resta al protagonista è l’ambizione disperata della traduzione, una lotta durissima con un testo vivissimo e impossibile.
Giorno dopo giorno, nel caldo di un’estate torrida, le pagine di Lowry s’impongono sulla realtà e sull’ambizione della scrittura stessa e sull’illusione, covata più o meno segretamente dal protagonista, di poter divenire quell’autore capace di imporsi con un grande romanzo, ritratto di un paese e del suo tempo. Tuttavia, come spesso avviene con la letteratura, tutto si mischia, le parti si confondono. Anche il protagonista del romanzo L’ombra del vulcano si troverà ad assumere una parte in commedia, trasformando la disperazione in delusione e la traduzione in una forma più o meno implicita di rifugio.

IL LIBRO, PROPRIO perché strutturato come un congegno perfettamente oliato in cui la narrazione agisce abilmente, tradisce però un eccesso di sicurezza determinata forse da un nichilismo di fondo che tende a indebolire una narrazione a tratti formidabile. Un lungo addio che cela il desiderio di un arrivederci possibile che è anche un modo per poter provare ancora a credere alla letteratura e al lavoro che richiede.