Marco Bellocchio, sguardo d’autore
Intervista Il Moma celebra la carriera del regista con una retrospettiva di 18 film: «Una riflessione su cinquant'anni del mio lavoro e sull'Italia di oggi»
Intervista Il Moma celebra la carriera del regista con una retrospettiva di 18 film: «Una riflessione su cinquant'anni del mio lavoro e sull'Italia di oggi»
Da mercoledì scorso fino al 7 maggio prossimo, il Museum of Modern Art di New York celebra la carriera di Marco Bellocchio con una retrospettiva di diciotto film accompagnata dalla pubblicazione del libro Morale e Bellezza, curato da Sergio Toffetti. Organizzata con la collaborazione di Luce Cinecittà, la retro ripercorre l’opera di Bellocchio (che il New York Times di domenica ha definito «uno dei grandi poeti delle fuga e della ribellione» dal 1965 (I pugni intasca) ad oggi, con la Bella addormentata, che sarà distribuito nelle sale americane a inizio giugno. Abbiamo incontrato Bellocchio poche ore prima dell’inaugurazione della serie, avvenuta con la proiezione di Il regista di matrimoni.
Il Moma ha dedicato alcune retrospettive «storiche» ai grandi autori del cinema italiano –recentemente Pasolini e Bertolucci. Qualche anno fa Antonioni….Cosa significa per lei questo omaggio?
È un grande piacere, un riconoscimento….Sono venuto a New York la prima volta, nel 1971, per presentare Nel nome del padre. E sono tornato spesso, specialmente in occasione del New York Film Festival. Ma questa è la prima retrospettiva. Si tratta quindi inevitabilmente – per chi ha voglia di intraprendere questo percorso – di una riflessione di cinquant’anni sul mio lavoro, che è anche una riflessione sulla politica, sull’Italia, su tutto quello che è cambiato in questo senso……Quando ho cominciato, c’era una totale separazione tra cinema e televisione. Il primo film acquistato dalla tv , nel ’79/80, è stato Salto nel vuoto. Allora il cinema non era solo autonomo rispetto alla tv, ma la guardava con sufficienza. Oggi non si fa un film di costo medio senza la loro partecipazione. Per quanto riguarda la politica, nell’arco della mia vita, che è abbastanza lunga, si è passati dagli anni della contestazione, basata su un’ideologia radicale, utopistica –che per me non è mai equivalsa al terrorismo, pur avendo militato qualche mese nell’Unione dei comunisti marxisti e leninisti – a un’idea di politica puramente amministrativa. Oggi, il discorso è tra la buona e la pessima amministrazione. Parlo in linee generali, ovvio, ma non sono cambiamenti da poco.
Lei è recentemente diventato presidente della Fondazione Cineteca di Bologna. Perché questa scelta e come immagina il suo ruolo?
Ho detto a Farinelli (direttore della Fondazione Cineteca di Bologna, ndr) che non avrò molto tempo… D’altra parte si tratta di una struttura di un centinaio di persone che – sotto la sue gestione e quella di Morini- funziona benissimo così com’è. In quest’ottica, credo che il contributo migliore che io, membri del Consiglio d’amministrazione come Valerio DePaolis e Alina Marazzi, possiamo portare sia concentrarci su delle iniziative legate alle nostre competenze. Seguo ormai da circa vent’anni il Laboratorio cinema di Bobbio e il suo festival. Credo che esperienze del genere, sul territorio, possano integrarsi e arricchirsi a vicenda.
Visto che cita il Laboratorio, ha progetti in corso che lo coinvolgano, come è stato per esempio nel caso di «Sorelle Mai»?
Quest’anno il Laboratorio lo farà Sergio Rubini. E poi ci sarà il festival… Al momento, i miei progetti cinematografici sono un po’ aggrovigliati, quindi preferisco non parlarne troppo. Ho alcune ipotesi… vedremo. Certo, l’unico modo per difendere certe libertà e certe forme è lavorare con pochissimi soldi. In quel senso, le nuove tecnologie leggere sono un aiuto. Non mi hanno mai particolarmente affascinato ma diventano preziose al servizio di un’immagine. Quando hai una certa esperienza, e anche una certa età, capisci che certe idee le puoi applicare a soggetti differenti. Pensi per esempio ai pittori religiosi di una volta: dipingevano sempre gli stessi soggetti, ma i quadri erano uno diverso dall’altro. Il primo passo, a fine aprile sarà la regia de I pagliacci al Petruzzelli di Bari. A un certo punto avevo pensato anche di farne un film…Si tratta di un allestimento all’interno di un manicomio criminale. La premessa è che Canio, dopo aver ucciso la moglie, viene rinchiuso in prigione e grazie a un direttore del carcere melomane, riviva la sua tragedia lì dentro. Per cui tutti i ruoli sono assegnati ai detenuti e a una detenuta. In questo contesto abbastanza claustrofobico useremo anche dei circuiti televisivi.
Cosa pensa di quello che si sta dicendo sul cinema italiano, è giustificato l’ottimismo?
Per anni si è parlato di crisi e venivano citati sempre solo i nomi dei grandi del passato. Oggi la televisione, internet hanno determinato la fine di un certo cinema ma hanno aperto nuove vie. Ci sono tanti giovani, che lavorano, alcuni molto interessanti. Altri invece tendono a voler produrre nelle forme dei loro padri. Però è un momento vivace. È come se la depressione fosse passata Non ho visto tutto, ma quest’anno a Bobbio avevamo una grossa abbondanza di film tra cui scegliere, molto diversi tra loro, anche commedie.. Ne diamo solo quindici, ma certi anni era difficile selezionarli.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento