È Andrea Orlando l’uomo che da Roma oggi arriva nelle Marche per fare da arbitro a una direzione del Pd che dovrà chiarire chi sarà il candidato alle elezioni regionali della prossima primavera. Il vicesegretario dem, sin qui, si è espresso in termini molto vaghi sulla situazione: tutelare l’alleanza, valutare la possibilità di accordarsi anche con il Movimento Cinque Stelle, restare uniti ad ogni costo perché la destra, forse per la prima volta da queste parti, è uno spettro che fa davvero tanta paura. E che tutti i sondaggi al momento danno avanti di almeno un paio di punti percentuali.

L’UNICA COSA CERTA, sin qui, è che l’uscente Luca Ceriscioli non verrà ricandidato: lui l’ha annunciato giovedì sera ai margini della sua incredibile battaglia antigovernativa sul coronavirus, ma in realtà erano già due settimane almeno che il segretario regionale del Pd Giovanni Gostoli aveva detto che bisognava cambiare aria, incassando il consenso del partito, di tutto il resto della coalizione (Italia Viva, verdi, socialisti, civici) e pure qualche timidissima apertura dal M5S. Ceriscioli, però, nell’annunciare il suo addio, ha fatto anche un nome per la sua successione, quello del sindaco di Senigallia e presidente dell’Anci Marche Maurizio Mangialardi, uomo del Pd. Proposta astuta, perché nel partito si tratta di una figura che può stare bene a tutti e che già aveva ricevuto il sostegno di 93 sindaci, che in precedenza avevano firmato un appello in suo sostegno.

Il problema, a questo punto, sorge però con gli alleati: l’accordo che si era raggiunto con il Pd, infatti, prevedeva la candidatura di un personaggio di estrazione civica, ovvero l’ex rettore dell’Università di Ancona Sauro Longhi, peraltro in passato vicino ai 5 Stelle e quindi possibile uomo chiave per chiudere un’alleanza.

Le carte in tavola, però, sono cambiate: Mangialardi è in pole position, e l’ipotetica alternativa – la sindaca di Ancona Valeria Mancinelli, gradita ai renziani – ha già declinato ogni invito, sia pure con qualche rammarico.

LA VERITÀ VERRÀ A GALLA soltanto oggi, poi ci sarà da riaprire i tavoli con i coalizzati e con il Movimento 5 Stelle, che attualmente non gode di buona salute (non solo nelle Marche) e che al suo interno si trova spaccatissimo: i due consiglieri regionali non hanno mai detto chiaramente che non vogliono andare con il Pd, ma i vertici nazionali, Danilo Toninelli in testa, da mesi ripetono che alle elezioni bisogna andare da soli, costi quel che costi. Il fatto è che senza alleanza i pentastellati sono a serio rischio di finire sotto la soglia di sbarramento, e qui ormai lo hanno capito anche i muri dei meet up che ogni settimana continuano a incontrarsi e a discutere febbrilmente sul da farsi, più o meno consapevoli che per i vertici romani il loro parere vale zero o quasi. La morsa intorno al Movimento è strettissima: a gennaio il sindaco dem di Pesaro Matteo Ricci ha promosso in giunta la capogruppo grillina Francesca Frenquellucci, riuscendo a frantumare il fronte e a gettare nel panico le già sbandate truppe marchigiane di Vito Crimi.

SI TRATTA, TUTTAVIA, di operazioni puramente politiche che non si sa bene quanto conteranno in campagna elettorale: il centrosinistra sconta nelle Marche un quinquennio complicatissimo, segnato in maniera indelebile da una riforma sanitaria contestata più o meno da chiunque e una gestione del doposisma confusa e insoddisfacente. Per provare a vincere bisognerà cambiare decisamente registro, e questo qualcuno sembrerebbe averlo capito: la lista «Dipende da Noi», che riunisce i pezzi della sinistra-sinistra marchigiana, è pronta a salpare da sola, ma al suo interno non sono pochi quelli che pensano di poter spostare l’asse dell’alleanza, se solo il Partito democratico decidesse di fare qualche apertura su programma e nomi potabili da sostenere.

La destra, dal canto suo, sta alla finestra: Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia è quasi certo di ottenere la nomination, anche se la Lega non ha ancora dato il suo via libera definitivo. Salvo imprevisti, arriverà a breve.