Visioni

Marcello Norberth, giochi tra luci e ombre

Marcello Norberth, giochi tra luci e ombre«Ignorabimus» (1986) regia di Luca Ronconi – foto di Marcello Norberth

Ricordo La scomparsa a 87 anni del grande fotografo di scena che lavorò con Ronconi, Squarzina, Missiroli

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 8 marzo 2024

Si sono svolti ieri i funerali di Marcello Norberth, scomparso a 87 anni, fotografo, e memoria testimoniale del miglior teatro italiano degli ultimi decenni. Un uomo schivo, all’apparenza burbero, in realtà capace di entusiasmarsi o commuoversi a ricordare la sue frequentazioni teatrali per i massimi artisti del palcoscenico, che lui ha documentato (e consegnato allo sguardo di chi non li aveva visti) da molti anni a questa parte. Nato nelle Marche (a San Ginesio, il santo protettore degli attori secondo leggende e tradizione) si trasferì a Roma, dove in anni eroici si «inventò» il suo mestiere. Avrebbe potuto sopravvivere come fotografo d’occasione (erano giusto gli anni che impazzavano i paparazzi) ma una innata tensione artistica lo portò ad affinarsi nel fotografare, e rendere riproducibile e «fotogenico» lo spettacolo. E del teatro, degli attori, delle immagini «oltre il sipario« imparò a cogliere il respiro e la memoria.

A LUI sono state dedicate mostre e approfondimenti, e lo spessore delle immagini che lascia sono degne di un «libro di testo» su quanto i migliori (e anche più complessi) registi hanno saputo realizzare in palcoscenico. L’elenco sarebbe lungo: a cominciare dal «patriarca» della scena italiana del ’900 Orazio Costa, e poi, via via, Mario Missiroli, Squarzina, Cobelli, Eduardo (in teatro ma anche tutta la serie tv), i diversi capolavori di Massimo Castri, le incursioni italiane di Michalkov e Hermanis, i Magazzini. Ma soprattutto, in una sorta di dorata «esclusiva», quasi tutte le opere «inventate» e firmate da Luca Ronconi.

CON QUEST’ULTIMO e massimo maestro della regia, si era stabilita una intesa particolare, un itinerario reciproco verso l’immagine e la sua memoria da conservare. Il regista riconosceva apertamente le sue foto come unico percorso per conoscere e ripercorrere il suo teatro: al di là degli attori, delle scene e delle sue «invenzioni», suggeriva le foto di Norberth proprio come chiave di lettura, quasi fosse il suo sguardo riflesso, e talvolta perfino «reinvenzione per uno spettacolo, una postura, una macchina scenica. La «grana»di quelle foto dava respiro, luce e definitive forma e forza al lavoro operato dal regista. Un caso di simbiosi artistica mai teorizzata o verbalmente elaborata (anche per lo schivo carattere di entrambi), ma che resta testimonianza inappellabile di una modalità di guardare all’arte scenica, alle sue regole e alle sue invenzioni. Un lavoro di maestria che ancora oggi può emozionare, in quel gioco di luci e ombre, quella capacità di vedere (e di fare vedere, e ricordare) il grande teatro.

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